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 2016  luglio 05 Martedì calendario

Le sfide di Renzi, l’Italicum che non si cambia e il congresso. Cronaca di una direzione del Pd, la più lunga di sempre

E anche a Matteo Renzi s’incrina la voce per la commozione. Succede quattro ore dopo l’inizio di una delle direzioni del Pd più lunga di sempre, quando il segretario-premier racconta: «Io ho un apparato di protezione e non posso andare a vedere mio figlio giocare a calcio, perché lui dice che si vergogna...». Uno squarcio di vita personale [leggi anche Il fatto del giorno].
Ma il match politico nel Pd è stato senza esclusione di colpi, presenti Massimo D’Alema e Pierluigi Bersani (che sono andati via prima), 25 interventi (e altre decine di iscritti a parlare rimasti fuori), sfilata dei nuovi protagonisti del partito di Renzi. Nell’hotel accanto al“Botteghino” che fu dei Ds, sala affollata e aria condizionata a palla.Il premier-segretario parte subito all’attacco e difende la sua linea dalle accuse della sinistra interna per la sconfitta alle amministrative. «Volete che mi dimetta? – sfida la minoranza – Vincete il congresso». Risponde inoltre alle critiche dei renziani «della prima, della seconda ora o last minute», quelli «malati» – perché chi glielo ha detto di definirsi così – che sostengono «che non ho più il tocco magico». E che invece si sbagliano, perchè il Pd alle comunali ha perso tanto anche nel 2014. Ci sono pure quelli che vogliono scendere dal carro: «Ma quando cercheranno di risalire lo troveranno occupato». «Bravo», gridano dalla platea. Comunque nel Pd una stagione è finita – garantisce Renzi – quella «in cui qualcuno dall’alto della sua presunta o vera intelligenza si diverte ad abbattere i leader, la strategia del conte Ugolino per logorare chi sta alla guida del Pd non funziona». Mormorii in sala: il riferimento a D’Alema è del tutto voluto. Annuncia il segretario che non ci saranno caminetti ma finestre aperte. Quindi una carrellata degli impegni del governo per un cambiamento vero, per il lavoro con il Jobs Act e contro le tasse, per i correntisti e per tenere fuori la politica dalle banche. Fino al “cuore” della questione politica: il referendum costituzionale, introdotto dal filmato del discorso di insediamento di Giorgio Napolitano alla Camera quando accettò il secondo mandato alla presidenza della Repubblica per consentire l’ammodernamento di un’Italia altrimenti allo sbando.È tutto, per Renzi. Tanto basta. Con un’aggiunta: lo spezzone del film di Loach su Eric Cantona, per spiegare che ama «i passaggi», il gioco di squadra. Proprio da qui, comincia la partita democratica. La resa dei conti. Gianni Cuperlo, leader della sinistra, interviene a gamba tesa: «Matteo, esci dal talent, così ci porti alla sconfitta storica». La svolta è indispensabile, rincara Roberto Speranza: «Così ci porti a sbattere». Lo stesso sos lanciato da Bersani pre-Direzione: «O si cambia o si va contro un muro». Però a sollevare il tema della legge elettorale è il ministro Dario Franceschini. Apre al cambiamento dell’Italicum, chiede che il premio di maggioranza vada alla coalizione. Stoppato da Graziano Delrio: «Non sono d’accordo con Dario, meglio nessuna modifica». Stessa opinione di Matteo Orfini, il presidente del Pd e commissario romano del partito, contestato all’ingresso della Direzione da supporter dell’ex sindaco Marino. «No alla proposta di Franceschini – ragiona Orfinimoltiplica i Verdini», le alleanze sbagliate. Sfilano vecchi e nuovi leader, da Piero Fassino, l’ex sindaco di Torino, ai ministri Martina e Orlando, Sandra Zampa, Anna Ascani. Sul referendum. La sinistra dem presenta un documento che dice: «Non si scomunichi chi vuole votare No», stabilito che il Pd è impegnato per il Sì. Doveva essere accolto – ricostruiscono i leader della minoranza. Invece è messo ai voti e bocciato. Guerini chiosa: «È ambiguo». Renzi cita una frase di Casaleggio sui social virali e perciò veri, e Davide Casaleggio minaccia querela. L’ultimo no del premier è alla macumba tv, in cui si rappresenta una politica di plastica.