Corriere della Sera, 5 luglio 2016
Tempistiche, problematiche, quant’altro e piuttosto che. Ormai scriviamo come parliamo
La bella espressione «parlare come un libro stampato», con i libri che si stampano oggi, si può ancora usare? Se lo chiede Patrizia Valduga nella nuova edizione accresciuta di Italiani, imparate l’italiano, una raccolta di prose («al vetriolo», come recita la quarta, è un po’ esagerato) pubblicata dalle edizioni d’if di Napoli. Domanda più che opportuna. Parlare come un libro stampato o piuttosto stampare come… un discorso parlato? Dovendo individuare una tendenza attuale della letteratura italiana, in effetti verrebbe da rispondere: si va verso lo stile parlato, che diventa raramente vero stile, per lo più è solo sciatteria. Si parla come si mangia e si scrive come si parla, non solo nei social network ma anche in letteratura.
Patrizia Valduga, che ha orecchio poetico finissimo, si sofferma su alcuni orrori: tra questi, segnala alcune delizie più o meno recenti, come il femminile di «tipo», e cioè «tipa», e certe espressioni ricorrenti, come «alla grande» con il superlativo «alla grandissima», «di lusso», «di tutto e di più», «a tutto campo». Non vuole saperne di «assessora», «ministra» e «sindaca», preferisce i maschili (ma perché?), anche quando riferiti alle donne. Dunque: «il sindaco Chiara Appendino» e «il ministro Maria Elena Boschi». Dunque: «il poeta Valduga?». No, la «poetessa».
La poetessa Valduga non sopporta i tormentoni. Si esagera nell’uso del dna: «l’unità è nel dna della Costituzione», «la litigiosità è nel dna della sinistra», «il pesto è nel dna della Liguria»… Il dna è entrato (insensatamente) nel dna della lingua italiana. E a proposito di tic, ovviamente sabato sera abbiamo assistito alla «càbala» dei rigori… Abusi e stereotipi, scritti e orali. Per esempio il «piuttosto che» con valore disgiuntivo («o»), il «quant’altro» nel significato di «eccetera», e così via. Un vizio insopportabile riguarda la punteggiatura. Franta: «Che invasione. Di punti. Anche nei romanzi. Cosiddetti. Nei racconti. Cosiddetti. È lo stile giornalistico. Dicono. È lo stile titolistico. Direi». Direbbe. Ci sono. Poi. I sostantivi. In disuso: i «problemi» stanno cedendo spazio alle «problematiche», i «temi» alle «tematiche», i «tempi» alle «tempistiche»… Uno Shakespeare aggiornato farebbe dire ad Amleto: «Essere piuttosto che non essere, questa è la problematica». E forse un nuovo Proust scriverebbe Alla ricerca della tempistica perduta. Ultimi due volumi: La tipa fuggitiva e La tempistica ritrovata.