Corriere della Sera, 5 luglio 2016
Il populismo e le tante cause del malcontento
Il malcontento generale, un’avversione sempre più generalizzata nei riguardi di questa Europa, è sotto gli occhi di tutti. E quello che è peggio non si vede un’inversione di tendenza da parte di chi, e questo è il punto, è stata la classe dirigente europea. Bruxelles, per un numero crescente di europei, anche per quelli più europeisti, è diventata il nemico numero uno.
Non crede che gli esponenti di questa classe politica, che sono poi i veri responsabili di questo stato di cose, dovrebbero prendere atto del loro fallimento e mettersi da parte, così come avviene in ogni azienda o società a seguito di un risultato negativo? È una domanda che in tanti si pongono. Lei come la pensa?
Fabrizio di Giura
Caro di Giura,
Credo che occorra rovesciare i termini della questione. Esiste certamente, in quasi tutte le democrazie occidentali, dall’Atlantico al Mediterraneo, un forte e diffuso malcontento. Ma non siamo certi di conoscerne con precisione le cause. Prenda ad esempio il caso della Gran Bretagna. È stato detto che gli elettori britannici, come quelli dell’Europa continentale, sono particolarmente preoccupati dal problema dell’immigrazione. Ma la parola sembra avere, al di qua e al di là della Manica, significati diversi. Per i Paesi dell’Europa continentale, l’immigrazione è quella clandestina proveniente dall’Africa e dall’Asia. Per la Gran Bretagna, invece, è quella arrivata da membri dell’Unione europea grazie alla libera circolazione delle persone prevista dal mercato unico. Quando alcuni Paesi dell’Europa centro-orientale aderirono all’Ue nel 2004, la Gran Bretagna accolse subito un numero considerevole di polacchi. Avrebbe potuto, come la Germania, valersi di una clausola che consentiva di ritardare di qualche anno il principio della libera circolazione, ma il governo britannico ritenne in quel momento che gli immigrati avrebbero conferito flessibilità e dinamismo alla economia nazionale. Non aveva torto. Il Pil è generosamente cresciuto e i polacchi (oggi sono 800.000) hanno largamente contribuito alla ricchezza di un Paese in cui la disoccupazione è al 5,4%: meno della metà di quella dell’Italia e della Francia.
Credo che le stesse considerazioni valgano anche per altri Paesi. Il malcontento non è sempre spiegabile razionalmente, ma esiste ed è la materia prima del populismo demagogico che si sta diffondendo nelle società europee. È probabile che all’origine di tanto malumore vi siano diversi fattori: alcune ricadute della globalizzazione, il predominio della finanza nelle economie nazionali, il crescente divario tra ricchi e poveri, la diffusa convinzione che la macchina del progresso ininterrotto si sia inceppata, forse anche l’invecchiamento della popolazione. Ma al populismo demagogico questo non interessa. Gli basta avere qualcuno (quasi sempre l’Unione Europea) a cui attribuire tutti i mali della società e presentarsi al Paese come «nuovo». Di questo passo, se i suoi leader conquisteranno il potere, il malumore, dopo le sbornie elettorali, è destinato ad aumentare.