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 2016  luglio 05 Martedì calendario

La passione per gli affari dei tre fratelli Pizza

Con quel cognome che si ritrovano avrebbero dovuto fare più attenzione. Per loro sarebbe stato meglio vivere sottotraccia, addirittura nell’anonimato. E invece sono sempre stati mattatori su un palcoscenico molto italiano di trame e di intrallazzi questi calabresi trapiantati a Roma, spocchiosi, esibizionisti, voraci.
C’è quello che si presenta come una star delle «pubbliche relazioni» ed era a capo di un’associazione a delinquere. C’è quell’altro che aveva fatto il sottosegretario all’Istruzione nell’ultimo governo Berlusconi e che poi era diventato il segretario della Nuova Democrazia Cristiana – e pure il padrone assoluto dello storico simbolo dello scudocrociato – che è sotto indagine per riciclaggio di mazzette. C’era e c’è ancora il terzo che è una vita che si spaccia come spione – nome in codice Polifemo – di un fantomatico Ufficio K ma anche come conte, ammiraglio, generale, vicepresidente di una fantomatica Associazione musulmana italiana e pure come principe di un misteriosissimo sultanato di Shekal. Proprio una bella famiglia quella dei Pizza di Sant’Eufemia di Aspromonte, provincia di Reggio Calabria. La Pizza Connection.
Raffaele detto Lino classe 1949, Giuseppe classe 1947, Massimo classe 1957. Il primo arrestato in questo girone di corruzione e di tangenti, il secondo che a quanto pare gli ha fatto da spalla, il terzo che entra ed esce dalle indagini di diverse procure della repubblica dove ha raccontato tutto e il contrario di tutto su complotti locali e mondiali.
Se non fosse appunto per Polifemo e per le sue fantasiose confessioni ai pm e per le sue vere o presunte scorribande spionistiche dal Corno d’Africa alle mafiosissime campagne trapanesi, questa famiglia Pizza sarebbe in effetti molto strutturata in affari e politica, politica e affari, affari e appalti. Abbastanza monotematica. Polifemo? Pecora nera o pecora bianca?
Il quartiere generale di Lino fino a ieri sera era in via San Lorenzo in Lucina civico 17, a due passi dal palazzo che gli interessava di più, il Parlamento. Trafficava da quelle parti. Dentro uno studio dove, scrivono i giudici nelle loro carte, «esercitava e perpetuava potere... sfruttando i legami stabili con influenti uomini politici, spesso titolari di altissime cariche istituzionali». Riceveva clienti e soprattutto riceva denaro, lo nascondeva, lo faceva riapparire, lo smistava. In certe operazioni «di intermediazione», a volte gli dava una mano anche l’onorevole Antonio Marotta del Nuovo Centrodestra, il partito del ministro dell’Interno Angelino Alfano. Affetti antichi.
Che ci faceva tutto il giorno “Lino” in via San Lorenzo in Lucina? Incontrava, parlava, ordinava, faticava per favorire amici da piazzare ai vertici di enti pubblici come Inps e Inail, alle Poste, al ministero della Giustizia e a quello dell’istruzione. Poi, al momento buono, agli amici chiedeva sempre il conto. Decideva tutto. E quando era il caso, «ammorbidiva», come nel caso di un paio di dipendenti delle Agenzie delle Entrate che avrebbero dovuto chiudere un occhio per agevolare pratiche di rimborso delle imposte e chiuderne due su controlli fiscali. Ma “Lino”, soprattutto prendeva per sé e per le sue società. «È un uomo molto avido e con insaziabili appetiti», si sono lamentati anche i suoi complici. E mentre lui da anni incassava e il fratello più grande aveva come tesoro personale il simbolo della vecchia Dc, il fratello più piccolo Polifemo ha continuato a girovagare da un Palazzo di giustizia all’altro per parlare di storie che per vie più o meno tortuose portano a Licio Gelli e a Ustica, alla scomparsa di Emanuela Orlandi e ai «sistemi criminali» di Palermo. In effetti, una famiglia molto particolare.