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 2016  luglio 05 Martedì calendario

Così i soldi dei sauditi sostengono i terroristi

Una dozzina di attacchi dell’Isis a partire dal 2014. Un seguito di quelli sferrati da Al Qaeda. Al punto da cercare di eliminare anche figure chiave usando ogni metodo, compreso un attentatore suicida. Gli ultimi episodi ieri, a Gedda, con un kamikaze vicino al consolato Usa e un’esplosione a Qatif vicino a una moschea sciita. Segnali evidenti di un problema sicurezza che i petro-principi hanno contribuito a creare.

Nei famosi cablo di Wikileaks uno dei più citati risale al 30 dicembre 2009. Non lascia dubbi su cosa pensino al Dipartimento di Stato: i donatori sauditi sono la fonte principale di denaro del terrorismo sunnita a livello globale. Più chiaro di così. Il documento non fa altro che confermare molte certezze di diplomatici e agenti dell’intelligence sul ruolo dell’alleato prima in Medio Oriente, poi ovunque ci fosse uno spazio da sfruttare. La cifra che viene ripetuta quasi come un sigillo dice molto: 100 miliardi di dollari. Riad li avrebbe spesi in un lungo arco di tempo per sostenere il fondamentalismo. Ovviamente non tutto è finito in mano ai tagliatori di teste, ma certamente i mille rivoli di denaro hanno favorito l’estremismo. 

L’Occidente si è servito di questa connessione dopo l’invasione russa dell’Afghanistan. Per battere Mosca, gli americani hanno chiesto aiuto ai principi del Golfo. Loro hanno risposto staccando assegni per i mujaheddin afghani. Solo che finita la guerra, non sono svaniti. Una parte è confluita sotto l’ala di un saudita famoso, Osama Bin Laden, a sua volta sostenuto dalla celebre catena d’oro. Una serie di cittadini, associazioni, personaggi rimasti nell’ombra però disposti ad aiutare il loro «fratello». E questo è stato solo uno degli investimenti politico-religiosi. I soldi sono arrivati nel Caucaso, in Nord Africa, in Europa occidentale, in Bosnia. In mezzo ai cristiani e in stati musulmani. 

Risorse con le quali hanno aperto moschee e scuole coraniche, istituito corsi, sponsorizzato predicatori, alimentato grandi movimenti e piccoli gruppi. Tutti legati da una visione rigida quanto militante dell’Islam. L’ultimo a lamentarsi delle infiltrazioni è stato il Bangladesh, insanguinato in modo feroce da un terrorismo locale che con la strage di Dacca è entrato in un’agenda internazionale. 

I governi europei e quello Usa sanno e sapevano, ma hanno tollerato. Per necessità: l’Arabia (ma anche Qatar e Kuwait) sono dei partner regionali in un’area critica. Per interesse: le monarchie del Golfo sono dei buoni clienti. Questo ha portato a tacere sul ruolo avuto da figure saudite nel piano dell’11 settembre 2001. Al fine di evitare imbarazzi a Washington si dice che nulla prova un coinvolgimento a livello «ufficiale». Intanto però tentennano sull’opportunità o meno di diffondere le 28 pagine del rapporto. Duro anche ignorare la posizione di numerosi ideologici, sempre del regno. Dopo l’invasione Usa in Iraq si sono schierati in favore della ribellione sunnita. Quella stessa insurrezione dove è nata l’ala irachena di al Qaeda trasformatisi poi in Isis. Per noi sono terroristi; a Riad e Gedda invece li considerano una pedina per contrastare gli sciiti.