5 luglio 2016
Tre miliardi per salvare Mps: ecco il piano del governo
Alessandro Barbera per La Stampa
La parola che ricorre in queste ore nei palazzi è «inevitabile». L’inevitabile ciambella di salvataggio evitata in passato, e che probabilmente costerà a Renzi polemiche uguali e contrarie a quelle seguite al fallimento di Etruria. In Borsa oggi il Monte dei Paschi di Siena, la banca più antica al mondo, vale meno di un miliardo di euro. Per comprare un caffè a Piazza del Campo ci vogliono ben tre azioni. L’utile dell’ultimo trimestre - 93 milioni di euro - non basta a far dimenticare 27 miliardi di sofferenze e le conseguenze della Brexit. «Sono lo stesso che ha sempre detto di non voler mettere bocca nelle nomine a Siena. Ma il risparmio degli italiani lo salvo». In politica capita di dover scegliere la meno peggiore fra le opzioni possibili. Le parole del premier alla direzione del Pd dicono che in questo caso le alternative sono quasi nulle.
L’ora X è prevista per il 29 luglio, quando verranno pubblicati gli stress test della Banca centrale europea sui 51 principali istituti del Continente. Mps non è l’unica banca a tremare, e questa potrebbe essere perfino una buona notizia. Test simili della Federal Reserve hanno bocciato sia Deutsche Bank che la spagnola Santander. Ma le dimensioni contano, ed essere la banca più debole di un sistema già sotto l’attacco della speculazione rende le sue condizioni particolarmente fragili. I contatti fra Tesoro, Palazzo Chigi e Commissione Ue sono costanti, e servono a trovare la soluzione utile a scongiurare il rischio di un effetto domino.
Per rimanere nelle regole, una strada c’è. La contempla l’articolo 32, quarto comma, punto tre della direttiva sulle risoluzioni bancarie. Quella norma dice chiaramente che nell’ipotesi di un’imminente bocciatura allo stress test, lo Stato può intervenire in via preventiva con un aumento di capitale, purché «cautelativo», «temporaneo» e «proporzionato per rimediare alle conseguenze della grave perturbazione» che si sta per abbattere sulla banca. Il linguaggio è più adatto a un meteorologo ma il senso è chiaro. La banca deve essere «solvente» e l’aiuto non può essere utilizzato «per compensare le perdite che ha accusato o rischia di accusare». Lo schema che circola al Tesoro rispetta tutte queste condizioni: prevede il lancio di nuove obbligazioni convertibili - chiamiamoli Padoan bond - non dissimili a quelle emesse nel 2012 dal governo Monti; ad esse si dovrebbe accompagnare un intervento di sostegno del Fondo Atlante per un ammontare non inferiore ai tre miliardi di euro. «Atlante due» si occuperà nel frattempo di comprare parte delle sofferenze di Mps, ma i tempi non sono compatibili con quelli che i mercati impongono in momenti come questi.
C’è una condizione che in queste ore complica non poco la trattativa. Bruxelles sostiene che questo tipo di intervento imponga l’applicazione del principio del «burden sharing» che costringerebbe azionisti ed obbligazionisti a farsi carico - almeno in parte - del salvataggio statale. Il pressing del governo sulla Bce e sulla Commissione europea per non far passare questa interpretazione punitiva della norma è arrivato al punto di minacciare una decsione unilaterale da parte dell’Italia. Si dice spesso che due indizi non fanno una prova, ma ci si avvicinano.
Il primo è la risposta del portavoce del Commissario alla Concorrenza Vestager all’articolo (in parte smentito) del Financial Times sulle intenzioni di Renzi intorno al destino di Mps: «Esistono soluzioni senza effetti contrari sugli investitori al dettaglio». L’altro indizio sono le parole pronunciate da Ignazio Angeloni, membro italiano della vigilanza di Francoforte: «Il sostegno pubblico è componente fondamentale di un buon quadro di regole». Le norme dell’Unione bancaria «dovrebbero essere usate non più del necessario, ma neanche meno». L’ultima parola spetta dunque a Jean-Claude Juncker e a Mario Draghi. Molto dipenderà ovviamente dall’atteggiamento di Berlino e da quanto Merkel e Schäueble temano un nuovo terremoto in tutto e per tutto simile a quello che nel 2008 partì dagli Stati Uniti e spazzò via decine di banche. L’Europa post-Brexit è al redde rationem: o esce dalla crisi più unita, o rischia di soccombere.
Isabella Bufacchi per Il Sole 24 Ore
Per fare pulizia nei bilanci delle banche oberate dai crediti deteriorati, per rimuovere il fardello dei non-performing loans e per far spazio a nuovi prestiti a sostegno dell’economia, per iniettare capitale negli istituti bancari sottopatrimonializzati, la strada maestra percorribile e tollerata dalle norme europee è quella della ricapitalizzazione precauzionale a carico dello Stato e collegata agli stress test.
È, stando fonti bene informate, l’unica forma di aiuto di Stato che non fa scattare il bail-in, contemplata dalla direttiva europea BRRD sulla risoluzione delle banche. E’ l’ipotesi numero uno sul tavolo della trattativa tra Roma e Bruxelles che esplora tutti gli strumenti e le soluzioni possibili per sciogliere il nodo delle banche in situazioni estreme, prima tra tutte quelle del Monte dei Paschi di Siena ancora ieri sotto attacco in Borsa.
Non esiste invece, nelle pieghe della BRRD, una clausola che consenta a uno Stato di agire liberamente in circostanze eccezionali per evitare l’scalation del rischio sistemico: l’ autostrada degli interventi straordinari non ci sarebbe, stando alle fonti vicine alla trattativa, non esistono “valvole di sfogo così ampie”.
Lo smaltimento dei non-performing loans attraverso lo strumento della cartolarizzazione con una garanzia pubblica sulla tranche junior, quella che per il mercato sarebbe la strada maestra, è invece un percorso tutto in salita perchè non piace a Bruxelles: la disciplina sugli aiuti di Stato non consente l’utilizzo della garanzia pubblica sulla tranche junior delle cartolarizzazioni perchè considera questo un intervento sull’”equity” (anche se la tranche junior potrebbe essere vista come mezzanine e ibrida e non necessariamente un equity piece).
La bad bank italiana e la garanzia pubblica sulla tranche junior sarebbero state “bocciate” perchè la cessione dei NPLs a prezzi più alti delle quotazioni del mercato va a vantaggio degli azionisti. Viene preferita dunque la soluzione della ricapitalizzazione precauzionale, che diluisce il capitale e quindi ha un costo per gli azionisti. Il principio di base che ispira tutto l’impianto della normativa europea resta quello che non esistono “pasti gratis” e che i prezzi di mercato devono riflettere fedelmente i rischi.
Il percorso che sarebbe stato individuato al momento, e che potrebbe essere messo in atto proprio in occasione degli stress test dell’Eba con esito reso noto il 29 luglio, prevede dunque una serie di tappe. Nel caso in cui una banca dovesse trovarsi nella condizione di dover effettuare un aumento di capitale per rafforzarsi o cedere i NPLs a prezzi di mercato - e quindi accollandosi una perdita maggiore degli accantonamenti fatti finora - , la ricapitalizzazione che sarebbe coperta in due tappe: l’aumento di capitale prima di tutto va fatto con ricorso sul mercato, con lo Stato che interviene parzialmente per coprire la parte lasciata scoperta dal mercato.
La ricapitalizzazione a carico dello Stato sarebbe a questo punto “precauzionale” perchè il mercato deve saperlo per tempo, deve avere la certezza e la sicurezza che l’intervento pubblico c’è ed è tollerato dalla normativa. Questo è uno snodo fondamentale, in questo tortuoso percorso, perchè l’aumento di capitale sottoscritto dal mercato ha successo se effettuato con il conforto della rete di sicurezza pubblica o comunque con un esito prevedibile. Solo così la speculazione, quella che precede e anticipa i risultati degli stress test, può essere disincentivata.
Il successo della ricapitalizzazione, così congegnata tra mercato e Stato, diventa a quel punto il presupposto per consentire alla banca di cedere i NPLs a prezzi di mercato, ben più bassi rispetto al valore di libro. In questo intreccio di ipotesi allo studio, quelle che sembrano avviate sul viale del tramonto sono al momento le garanzie pubbliche sulla tranche junior delle cartolarizzazioni dei NPLs e le obbligazioni convertibili stile Monti-bond o Tremonti-bond.