La Lettura, 3 luglio 2016
Quando medicina e poesia vanno a braccetto. Dal dolore di Carver alla morte che si sconta vivendo di Ungaretti
C’è sempre stato un profondo, misterioso, legame fra poesia e medicina o, meglio, fra poesia e apprensione per la propria salute, lo stretto viottolo tra la vita e la morte. Da sempre, come pure in tempi molto recenti. Molti medici sono diventati scrittori e si sono occupati della nostra percezione della vita, soprattutto della vita minacciata. Un po’ perché una volta i medici erano tra i pochi ad avere una certa cultura, un po’ per il desiderio di riprendere contatto con il bello del mondo dopo aver testimoniato e per così dire «assorbito» tanta sofferenza, un po’ per poter dire e manifestare cose che la loro professione implicitamente vietava di esternare e un po’ perché erano e sono convinti di avere capito della vita un po’ di più degli altri.
Non occorre, penso, scomodare Giacomo Leopardi e il suo Amore e Morte : «Fratelli, a un tempo stesso, Amore e Morte/ ingenerò la sorte». Dall’ Iliade a La montagna incantata di Thomas Mann o a Everyman di Philip Roth, il tema della salute e della sua salvaguardia è stato più volte ripreso nella grande letteratura. Adesso un poderoso volume intitolato A Body of Work. An Anthology of Poetry and Medicine, curato da Corinna Wagner e Andy Brown, pubblicato da Bloomsbury, raccoglie molti contributi del genere, prevalentemente di autori anglosassoni, anche contemporanei. Il volume è suddiviso in otto capitoli tematici e affianca alle liriche anche diverse prose scientifiche di rilievo, a volte anche più difficili da trovare delle poesie stesse.
Il panorama è abbastanza esauriente, anche se la scelta risente, ovviamente, del gusto dei curatori. La scelta delle tematiche generali è puramente indicativa ma copre uno spettro molto ampio: il corpo come macchina; nervi e cervello; i consumi; la malattia e la disabilità; le terapie; medici e ospedali; sesso, evoluzione, genetica e riproduzione; e infine invecchiamento e morte. Data l’ampiezza del volume e la diversità dei temi toccati, verrebbe voglia di parlare di quasi tutti gli argomenti, punto per punto, ma non si può e mi comporterò, quindi, come un amante di poesia distratto che visita una terra poetica senza porsi troppi problemi, che è secondo me la maniera migliore di avvicinarsi alla poesia, dandole valore di per sé e non in riferimento a questo o a quello.
C’è chi si interroga quasi quotidianamente sul senso della vita, della propria vita, e chi lo fa solo di quando in quando, ma chiunque, penso, si trova in uno stato d’animo simile quando non sta bene, anche solo poco bene. Nella lirica La medicina di Raymond Carver, ad esempio, il protagonista parla con distacco della medicina e si confessa fondamentalmente estraneo a quel mondo, finché… non si scopre con qualcosa che gli va crescendo su una spalla.
Con un linguaggio asciutto, definito anche minimalista, Carver ci fa partecipi in poche frasi del cupo vortice nel quale sta cadendo il protagonista, probabilmente per una semplice cisti. È così, lo sappiamo, e la sottile notazione psicologica del brano in questione ci riguarda tutti, come è giusto che faccia la poesia, una sorta di «chiamata alle armi» per ciascuno di noi.
Esistono anche temi particolarmente attuali come il cancro – paragonato a una «stella Nova che sta esplodendo» all’interno del corpo di un malato – la doppia elica del Dna – una «forma nel tempo» o «un ricciolo in una continua, fluida creazione» – oppure il genoma – una terra incognita, un «deserto non infinito» – che in questi giorni sta passando dalla cultura specialistica all’attualità più viva e impellente.
Che cos’è in fondo la poesia? Un’imitazione della natura, come ebbe a dire prima di tutti Platone, o una continua invenzione della vita, come comincia a dire il nostro Giambattista Vico. O entrambe le cose. Per un motivo o per l’altro, la salute, la messa in questione della vita quando viene sfiorata dalla morte, o la semplice riflessione sulla fragilità e la finitezza del nostro essere, sono occasioni ineguagliabili per il fiorire della poesia, come ritratto vivente o come immanente trascendimento dell’umano. Nella nostra cultura, così refrattaria a una visione naturalistica della realtà, si tende a tenere ben separato il sacro dal profano, in questo caso la poesia dalla preoccupazione per la nostra salute, ma non è così nel mondo anglosassone, che seppellisce i morti in giardini e prati, tendendo a fare delle lapidi una parte dello spettacolo della natura.
Questa diversa inclinazione fa delle poesie (e a volte delle prose) dell’antologia di cui stiamo parlando un qualcosa di un po’ estraneo alla nostra sensibilità ma certamente molto moderno e direi quasi universale. E non c’è dubbio che riempia un gap, uno iato fra la creatività artistica da una parte e la terrena preoccupazione per la salute del nostro corpo dall’altra, magari sostenuta dalla razionalità scientifica e dalla tecnica. Come dire fra poesia e cure terrene: perché la vita è una, e una l’occasione che ci viene offerta, senza prove generali né repliche. La morte, dice Ungaretti, si sconta vivendo. Mentre Montale nota che «essere vivi e basta/ non è impresa da poco».