La Lettura, 3 luglio 2016
Cosa nasce prima, la storia o il personaggio? Don Winslow ci spiega perché si sente un po’ Neal Carey, perché Frankie Machine è suo papà e perché si diverte tanto di Boone Daniels
Per me, la storia inizia dal personaggio, non viceversa. Non voglio costruire dei personaggi che si adattino a una storia, una trama o un argomento. Se lo facessi, sembrerebbero artificiali, creati solo per soddisfare uno scopo, per servire degli aspetti della storia, e quindi non sarebbero «veri». (Sì, so che non sono comunque «veri», ma capite quel che voglio dire). Se il personaggio è vero, tutto quel che fa sarà reale e sembrerà giusto. Mentre si scrive, si sa quando il personaggio fa qualcosa che non funziona. Salta subito all’occhio.
Questo pone il problema di come rendere vero un personaggio. Credo che il modo in cui si crea un personaggio assomigli al fare amicizia con qualcuno – si passa del tempo con quella persona e si inizia a conoscerla, a sapere com’è stata la sua infanzia, dove l’ha passata, quel che le piace o non le piace, cosa vede dalla finestra quando si alza al mattino, di cosa ha paura, cos’è che ama.
Può sembrare un po’ strano, ma iniziare a creare un personaggio è quasi come vedersi con qualcuno che si sta corteggiando. Si deve scoprire qual è il suo cibo preferito, cosa lo diverte, quali sono le sue particolarità.
Poi costruisco anche il mondo che circonda il personaggio, e deve essere reale. Dove trascorre il tempo? Chi sono i suoi amici? Quando posso, cerco di usare dei luoghi veri e vado a vederli. Ascolto la musica «giusta». Mangio quel che mangia lui o lei. Per me, il personaggio deve abitare un mondo vivo e pieno di particolari. Se andando in luoghi reali riesco a visualizzare lì il mio personaggio, so che sono sulla strada giusta.
Si pone a questo punto il grande problema da risolvere prima di iniziare veramente a scrivere: che cosa vuole il personaggio?
Non in relazione alla trama. Non si tratta di sapere se vuole trovare l’assassino, la persona scomparsa, neutralizzare il boss di un cartello, scoprire chi sta cercando di ucciderlo... Tutte queste domande devono ovviamente avere una risposta, ma sto parlando ora delle grandi domande interiori – cosa vuole il personaggio nel suo intimo? Sono questi bisogni ed esigenze interiori che dovrebbero guidare il personaggio nel perseguire i suoi bisogni esteriori. Neal Carey, figlio illegittimo, vuole dei riconoscimenti, delle conferme, una famiglia. È questo a spingerlo a fare quel che fa. (Lavora per un’organizzazione chiamata «Amici di Famiglia»). Frankie Machine vuole un codice che guidi la sua vita... Art Keller vuole disperatamente trovare un modo decente di vivere in un mondo indecente... Questo, per me, è il problema centrale nella creazione di un personaggio, ma per trovare la soluzione bisogna imparare a conoscerlo. Ci vuole tempo. Proprio come per scrivere e fare amicizia – non si può fare a meno del tempo.
Neal CareyCosa dire di Neal? È il mio primogenito, il personaggio che era con me quando non avevo ancora idea di come scrivere un romanzo. Stavo inventando me stesso mentre inventavo lui, e abbiamo alcune cose in comune: eravamo entrambi graduate student che cercavano di finire gli studi, e invece eravamo continuamente inviati in missione; vivevamo entrambi nell’Upper West Side di New York; eravamo detective privati; avevamo entrambi un curioso amore per la letteratura inglese del XVIII secolo; siamo entrambi andati a Londra come stranieri in terra straniera. Avrò sempre una predilezione per l’irritabile, petulante, riluttante Neal Carey. Ho imparato a scrivere con lui.
Frankie MachineSono cresciuto in mezzo a tipi come lui, anche se a New York e in Rhode Island, invece che in California. Frankie somiglia un po’ a mio padre – tutti e due avevano abitudini e rituali. Ho preso proprio da mio padre, infatti, il detto «Solo gli annoiati amano le sorprese». Anche per Frankie provo affetto – è un «tipo vecchio stile» e mi piacciono quelli come lui – hanno un codice, norme di comportamento, cose che fanno e altre che non fanno. Hanno buone maniere. La tragedia di Frank è che crede nelle regole del vecchio mondo del crimine, e quando scopre che non esistono più non riesce ad adattarsi, gli si spezza il cuore.
Boone DanielsNegli ultimi due anni non c’è stata mai volta che apparendo in pubblico non mi chiedessero di Boone Daniels. È un personaggio molto amato. E piace molto anche a me. Boone Daniels incarna tutto quel che amo della California, in particolare di San Diego. È l’epitome della cultura del surf, rilassato, divertente, generoso, avventuroso, leale. Ho passato alcuni dei momenti migliori della mia vita con gente come Boone e i suoi amici nella Pattuglia dell’alba. Non ho mai riso tanto. Scrivere di Boone è quindi un vero piacere, mi diverto a stare con lui.
Art KellerA parte mia moglie e mio figlio, ho trascorso più tempo con Art Keller che con qualsiasi altra persona nella mia vita. Due libri nell’arco di una decina d’anni. Keller è un uomo complesso, anche se il suo desiderio di vendicarsi dell’antagonista, Adán Barrera, segue un codice molto semplice, in bianco e nero, giusto/sbagliato. Ma non ci si deve ingannare. Negli anni sono giunto ad approfondire questo personaggio, e ne vedo i conflitti. È un uomo profondamente religioso che ha perso la fede in Dio, un uomo buono che fa cose terribili per perseguire il bene in cui crede. Un uomo amorevole che brucia di una rabbia che non gli permette di amare pienamente, un uomo giusto consumato dal senso di colpa. È un personaggio difficile da scrivere, sfida ogni ipotesi, rovescia ogni luogo comune.
Ben, Chon e OEditor e giornalisti della East Coast continuano a dirmi che non credono a questi personaggi. E io gli lancio sempre la stessa sfida – venite nell’Orange County, e se non riesco a mostrarvi un Ben, un Chon e una O nel giro di un’ora, avete vinto. Ma non sono mai riusciti a vincere, e di solito mi ci vuole meno di un’ora – i campi da pallavolo di Laguna Beach sono a soli venti minuti dall’aeroporto e lì i miei increduli amici dell’East Coast vedono un sacco di Ben, Chon e O. Queste erano le persone con cui uscivo, facevo surf e andavo alla palestra di arti marziali. Ascoltavo la loro lingua e seguivo la loro vita, e questo mi ha incuriosito e mi ha spinto a scrivere Le belve e I re del mondo. Quei libri ruotano attorno alla lingua, ai personaggi e alla cultura. Nonostante tutte le loro stronzate, amo questi tipi.