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 2016  luglio 03 Domenica calendario

L’Fbi chiede, Hillary risponde. Il lungo interrogatorio sul caso delle mail, quello che potrebbe far vincere le elezioni a Trump

Sono state le tre ore e mezza che decideranno le prossime presidenziali americane. Hillary Clinton le ha trascorse ieri nella sede dell’Fbi a Washington, per l’interrogatorio sull’uso della mail privata quando era segretario di Stato. Se verrà incriminata, la sua corsa alla Casa Bianca finirà. Anche senza una condanna, però, lo scandalo peserà sulla sua forza come candidato, e Donald Trump lo sta già sfruttando: «Dovrebbe essere in prigione – ha detto – per quello che ha fatto».
Quando era a capo della diplomazia americana, invece di usare la mail ufficiale del dipartimento di Stato, Hillary aveva usato quella di un server privato attivato nella sua casa. Secondo lei, lo aveva fatto per comodità; secondo i repubblicani, per nascondere impicci imbarazzanti, come le comunicazioni relative all’attacco contro il consolato di Bengasi, da cui l’intero scandalo è nato.
La Clinton all’inizio della vicenda aveva detto che non aveva mai scambiato informazioni segrete attraverso la sua mail privata, perché questo costituirebbe un reato. Poi però si è scoperto che almeno 2.079 messaggi erano vietati. La maggior parte aveva il livello di classificazione “confidential”, cioè basso, ma 22 erano top secret. Hillary si è difesa dicendo che non era a conoscenza della segretezza dei documenti, anche perché la loro classificazione era avvenuta dopo che li aveva inviati.
L’Fbi ieri l’ha sentita proprio per appurare questo, e lei «ha fornito un interrogatorio volontario», ha sottolineato il suo portavoce Nick Merrill. Se Clinton sapeva, potrebbe aver violato la Section 1924 del Title 18, o anche l’Espionage Act, la legge che punisce gli atti di spionaggio. Ma potrebbe essere incriminata anche se non aveva commesso reati allora, e l’Fbi determina che ha mentito ora durante l’interrogatorio. Gli oppositori repubblicani prevedono che non ci sarà un processo, perché i democratici controllano la Casa Bianca e quindi l’Fbi. Nel peggiore dei casi si aspettano che qualche collaboratore di Hillary, come l’assistente storica Huma Abedin, il consigliere Jake Sullivan o la legale Cheryl Mills, sia sacrificato con l’accusa di aver manipolato i documenti, nascondendo a Clinton che erano segreti. 
Il problema, però, è soprattutto politico. Se Hillary verrà incriminata, non potrà continuare la corsa alla Casa Bianca. Se non lo sarà, i suoi avversari diranno che è stata salvata da Obama. Se i sospetti poi non bastassero, nei giorni scorsi il marito Bill ha commesso la gaffe di incontrare all’aeroporto di Phoenix il ministro della Giustizia Lynch, dando l’impressione di voler manipolare l’inchiesta. 
L’interrogatorio dovrebbe significare che l’inchiesta è finita, anche perché il tempo stringe. Il 18 luglio inizierà la Convention repubblicana a Cleveland, il 25 quella democratica a Philadelphia: per quella data sarebbe indispensabile un pronunciamento definitivo dell’Fbi. Hillary ha 2.220 delegati vinti nelle primarie, non i 2.383 che sarebbero serviti per la nomination automatica del Partito. Per riceverla avrà bisogno del consenso di quasi 200 superdelegati, che se incriminata potrebbero negarle il voto, appoggiando Bernie Sanders, o la nomina di un candidato di consenso come il vice presidente Biden o il segretario di Stato Kerry.