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 2016  luglio 02 Sabato calendario

Londra, è il momento di Michael Gove

Non c’era altra scelta: Boris Johnson non era all’altezza del posto di primo ministro e bisognava fermarlo. Così Michael Gove, ministro della Giustizia e da ieri insuperato tessitore di tranelli della politica britannica, ha giustificato la mossa con cui, in un colpo solo, ha annunciato la sua candidatura alla successione di David Cameron e ha ottenuto che il suo ex amico Boris Johnson ritirasse la sua. Gove, che ha sempre detto di non ambire a Downing Street, ha dichiarato di aver seguito il suo cuore nel farsi avanti, nella convinzione che solo un politico pro-Brexit possa governare il paese dopo il referendum del 23 giugno. «Ma sono giunto alla conclusione questa settimana che, nonostante i formidabili talenti di Boris, non sia la persona giusta per questo compito», ha aggiunto ammettendo la sua totale assenza di «carisma» e presentando il suo programma fatto di 100 milioni di sterline di finanziamenti aggiuntivi al servizio sanitario nazionale, un’uscita netta dall’Unione europea e la fine della libera circolazione dei lavoratori, sostituita da un sistema a punti australiano che consente ai migranti di entrare sulla base delle loro capacità.
LA FAVORITA
Davanti a deputati ancora storditi dai colpi di scena degli ultimi giorni, Gove non ha ottenuto il sostegno sperato, che invece sta convergendo sempre di più su Theresa May, ministro dell’Interno dalle posizioni intransigenti in materia di immigrazione nonostante abbia formalmente appoggiato la campagna pro-Europa del premier uscente David Cameron. La May, che ha avuto anche l’appoggio del Daily Mail, giornale dove lavora la moglie di Gove Sarah Vine, ha avuto 91 dichiarazioni di sostegno, Gove solo 20, mentre tra gli altri candidati il giovane europeista working class Stephen Crabb ne ha ottenute 21, la fiera euroscettica ministro dell’Energia Andrea Leadsom 17 e l’ex ministro della Difesa Liam Fox 7. Sia la May che Gove escludono di andare ad elezioni prima del termine naturale del 2020 ed entrambi sono tetragoni sul fatto che il risultato delle urne vada rispettato, sebbene nel paese si moltiplichino gli appelli di chi chiede una soluzione alternativa che tenga conto della spaccatura del paese al momento del voto e del ripensamento di molti elettori che si sono sentiti ingannati dalle promesse del fronte Leave e in particolare di Boris Johnson, l’uomo che sicuramente ha dato più vigore ad una campagna dalla quale è uscito a pezzi, almeno per ora.
I RETROSCENA
Mentre la stampa pubblica retroscena su retroscena, secondo The Times Boris avrebbe deciso di farsi da parte a favore della May con la promessa che lei si dimetterà prima del 2020, mentre la squadra di Boris parla di una piano calcolato a tavolino da Gove, per il quale ci sarebbe «una fossa profonda prenotata all’inferno», per distruggere le ambizioni dell’ex sindaco, in collaborazione con il cancelliere dello Scacchiere George Osborne. Quest’ultimo, erede designato di David Cameron se tutto fosse andato come previsto dall’inquilino uscente di Downing Street, ha annunciato ieri la rinuncia all’obiettivo di raggiungere un avanzo nei conti pubblici entro il 2020 come conseguenza del «significativo shock economico negativo per l’economia britannica».
I LABURISTI
Se entro la settimana prossima si dovrebbero conoscere i due contendenti alla premiership, sul fronte laburista il segretario Jeremy Corbyn continua a resistere ai tentativi di farlo dimettere, a cui si è aggiunta una polemica legata all’aver paragonato il governo israeliano a Isis, mentre il suo vice John McDonnell ha spiegato che il voto sulla Brexit va rispettato e che la libera circolazione dei lavoratori dovrà finire. Gli oppositori dell’asse Corbyn-McDonnell, tra cui la ministra ombra per la Difesa Angela Eagle, che sarebbe pronta a candidarsi, stanno prendendo tempo, ma sono tutt’altro che distratti: stanno solo aspettando il momento giusto.