La Gazzetta dello Sport, 4 luglio 2016
L’ansia del Grande Slam è difficile da battere. Vero, Djokovic?
Anche un fenomeno come Nole Djokovic si è dovuto inchinare alla dura legge dello sport. Come era accaduto negli anni più recenti sui verdi prati londinesi a Sampras contro Bastl, a Nadal contro Rosol, Darcis e Brown e a Federer contro Stakhovsky, anche il numero uno del mondo è stato costretto ad alzare bandiera bianca dopo la battaglia di più di tre ore sostenuta sabato con l’americano Querrey. Lo scorso anno il numero uno si era salvato in corner nel match contro Anderson e se questa volta fosse riuscito a chiudere il quarto set, sul 5-4 e servizio, probabilmente avrebbe potuto ripetersi. Dopo 30 vittorie di fila in partite dello Slam, una giornata storta può capitare e non sempre una sconfitta necessita di complicate analisi. Ho visto un Nole stranamente nervoso, senza la solita voracità. Il servizio batteva in testa senza trovare la consueta percentuale di riuscita, in ribattuta aveva difficoltà nel leggere le traiettorie dell’americano e la gittata peccava di profondità. L’erba, poi, non è il terreno più adatto per un tennis di rimbalzo, se non si è supportati da un gioco basato sulla regolarità. Djokovic è sembrato meno ardito del solito, con poche idee e molti dubbi tattici e anche i frequenti sguardi verso il box hanno denotato l’ansia e lo scoramento che lo stava attanagliando. Per la prima volta dal 2009 non si presenta ai nastri di partenza della seconda settimana di uno Slam e la notizia ha fatto il giro del mondo. Anche perché, con gli avversario storici in fase calante ad eccezione di Murray e le nuove leve non ancora in grado di raccogliere l’eredità di questa generazione di fenomeni, il sogno del Grande Slam dopo Budge e Laver sembrava alla portata.