Libero, 4 luglio 2016
Ritratto di Christine Lagarde, spietata con tutti tranne che con Sarkò
Domani, 5 luglio, Christine Lagarde comincia il secondo mandato di direttore Fmi. Resterà a Washington altri cinque anni. La riconferma è avvenuta mesi fa, a furor di popolo. Questo la dice lunga sul credito dell’affascinante sessantenne francese che, con i tacchi, è alta come Obama. Nessuna donna prima di lei aveva diretto il Fondo ed è anche il primo direttore che non sia economista, bensì avvocato.
Della signora balza subito agli occhi l’allure. I capelli bianchi corti, il collo lungo, il filo di perle, i tailleur scuri. Un’impeccabilità naturale che mette in imbarazzo le potenti donne con le quali si incontra. Angela Merkel, per quanto dignitosa, non regge il confronto. Ha però la saggezza di non paragonarsi e la cosa finisce lì. Altre invece ci sformano e l’hanno in antipatia. Sta sulle scatole soprattutto alle giornaliste. Per scrivere questo, ho letto diversi articoli di colleghe che sprizzano veleno. La capigliatura diventa «un caschetto», la pelle è abbronzata «per nascondere le rughe», ecc.
Il rimprovero, al nocciolo, è che Christine sia ciò che è, perché dietro c’è un uomo. Il mentore, nel suo caso, è Nicolas Sarkozy, che una decina di anni fa la lanciò in politica. Il sottinteso è che i meriti siano inferiori alle arti con le quali ha conquistato i favori. Interessante è che Lagarde, anziché rintuzzare le femmine maligne, ironizzi sui maschi. Tempo fa – parlando con l’Indipendent – ha detto che «le donne nei posti chiave sono essenziali», che gli uomini al vertice sono invece in eccesso ed eccessivamente aggressivi, per concludere che «nelle stanze del potere c’è troppo testosterone». Chi però la conosce sa che, nel dirlo, strizzava l’occhio agli uomini, suoi interlocutori preferiti, dando nel contempo un contentino alle donne per tenersele buone.
Conservatrice per cultura, Christine persegue le proprie ambizioni per se stessa. Non per imporre il verbo femminista, alla Laura Boldrini. Considera anzi un’idiozia la mania boldriniana di femminilizzare le cariche ricoperte da donne: presidenta, sindaca, ministra, vescova. Tanto che, approdata al Fmi, ha chiesto di essere chiamata Madame Chairman (Signora Direttore), rispettando insieme la propria femminilità e la lingua.
Agli uomini che governano il mondo, questa donna pratica piace. Nelle foto di gruppo, Christine appare sempre al centro mentre i Draghi, Juncker, Hollande, Cameron ecc. pencolano verso di lei come gli Apostoli verso il Cristo nell’Ultima cena. Tutti si sono prodigati per la sua riconferma, elogiandone l’acume, l’energia, l’equilibrio, la grazia.
In realtà, Lagarde è un pescecane come chiunque della combriccola. Il mestiere del Fondo monetario è prestare soldi ai Paesi in difficoltà. A tre condizioni: che facciano riforme, paghino fior di interessi, restituiscano fino all’ultimo centesimo. In pratica, mentre un usuraio ce l’hai alla porta, se prendi i soldi Fmi ti porti un padrone in casa. Esattamente come con l’Ue. Ne sa qualcosa la Grecia che da anni subisce il viavai degli occhiuti ispettori stranieri. Dei danari prestati, nulla è andato ai cittadini. Una volta, sono serviti a pagare le banche Ue (tedesche e francesi) che avevano anticipato ad Atene. Un’altra, a restituire il conquibus al Fmi. Più o meno così sono le prospettive future.
Ora, il capezzale greco è retrocesso sullo sfondo. Ha preso il sopravvento Brexit, la nuova falla Ue. E, pure qui, Lagarde ha surclassato Frau Merkel. Mentre Berlino si è accanita contro Londra con toni da suburra, Madame Chairman si è limitata a un «mi dispiace per l’uscita», mormorato nel suo perfetto americano.
Christine Lagarde nasce Lallouette – da Alouette, allodola – il cognome di papà Robert, discendente di illustre stirpe studiosa. Venuta alla luce a Parigi nel giorno di Capodanno 1956, Christine si trasferì con la famiglia in Normandia, dove il babbo era docente universitario di Letteratura inglese. Qui, compie gli studi secondari e diventa campionessa di nuoto, medaglia di bronzo ai campionati di Francia. È la primogenita di quattro figli, unica donna. Uno dei tre fratelli, Olivier – incarnando il cognome – è un noto baritono. Quando il babbo le morì nel 1973, aveva 17 anni. L’anno dopo, facendo di testa sua, decise di completare il liceo negli Usa. Presa una borsa di studio e se ne andò a Bethesda, nel Maryland, un tiro di schioppo da Washington. Rientrò dopo un anno, totalmente bilingue, per laurearsi in Legge a Nanterre. Tornò negli Usa col diploma per farsi le ossa nello staff di un deputato del Congresso e nel più grosso studio legale dell’orbe terracqueo, Baker & McKenzie (oltre quattromila avvocati in settanta Paesi). Nel primi anni Duemila, divenne il numero uno mondiale del B&M. Ossia, un avvocato stratosferico con una barca di quattrini.
In queste condizioni, si può capire che non le abbia fatto un baffo la sua unica sconfitta: la bocciatura alla prova d’ingresso nell’Ena, la mitica scuola francese dei Grands commis. Ha tentato due volte senza riuscire. All’epoca – ha raccontato – era innamorata e si è distratta. Senza essere libertina, la vita sentimentale di Christine è stata varia. Come Daniela Santanché, ha tenuto il cognome del primo marito e padre dei suoi due figli (oggi sulla trentina), Wilfried Lagarde. Poi, hai sposato un uomo d’affari britannico, Eachran Gilmour, e dopo averlo congedato si è riaccasata – da compagna, non da moglie – con Xavier Giocanti, un marsigliese. È stato uno di quegli amori a lenta carburazione, poiché i due si conoscevano già dai primi anni ’80, da studenti. Il fuoco è però divampato solo nel 2005 e arde tuttora con gagliardia.
La fortunata esclusione dall’Ena ha evitato a Christine di diventare un alto burocrate francese con lo stampino. È invece una specie di americana in Francia, con una propria originalità. Il suo salto vero nel mondo della politica fu voluto da Sarkozy nel 2007. Divenne ministro dell’Economia, prima donna ad assumere questo incarico. È stata anche quella che l’ha tenuto più a lungo: quattro anni. Avendo mentalità anglosassone, si stupì inizialmente di certe fissazioni francesi. «Mi sembra – disse durante un consiglio dei ministri in cui si parlava di lavoro – che ci occupiamo troppo di ferie e di permessi, anziché di flessibilità ed efficienza». Poiché in Francia le 35 ore e privilegi connessi sono tabù intoccabili, aveva messo i piedi nel piatto. Lagarde fu ribattezzata La Gaffe per l’imprudenza. Ed effettivamente cominciò a inanellarne parecchie. La più nota è del 2007 quando disse che «la crisi è ormai alle spalle» mentre stava per scoppiare lo scandalo dei sub prime e Lehman Brothers si inabissava.
Il legame con Sarkozy le ha dato soddisfazioni e rogne. A lui deve il lancio nella vita pubblica francese e il posto nel Fmi in sostituzione del connazionale Dominique Strauss-Kahn, che si era dimesso dopo avere peccato con una cameriera d’albergo. Ma a Sarkò vanno imputate anche le sue due più grosse ombre. Da ministro rimase invischiata nella vicenda Bernard Tapie, uomo d’affari ex socialista, diventato poi amicone di Sarkò. Tapie pretendeva dei soldi dal Crédit Lyonnais. Per recuperarli, avrebbe dovuto affrontare le incertezze della giustizia ordinaria. Lagarde decise invece di affidare la vertenza a un Giurì privato. La sentenza, forse pilotata, fu favorevole a Tapie e la banca condannata a pagargli 403 milioni di euro. Nel frattempo, però, il Crédit era stato messo in liquidazione. Toccò così a Pantalone pagare la somma all’amico di Sarkò. Dall’indignazione generale, nacque un processo che investì anche Christine, già a Washington nel Fmi, tuttora indagata per “negligenza”. Non è grave. Peggio, ciò che segue. Nel corso di una perquisizione, fu trovata copia di una lettera inviata da Lagarde a Sarkozy in cui spicca una frase (in corsivo qui sotto) di tale sottomissione al suo padrino che fece sprizzare d’orticaria tutto il femminismo francese: «Caro Nicolas, molto rispettosamente: 1) Sono al tuo fianco per servirti... 2).. A volte ho fallito. Ti chiedo scusa. 3)... 4) Utilizzami per tutto il tempo che ti serve e serve alla tua azione e al tuo casting.
Anche Enrico IV si umiliò e disse: «Parigi val bene una messa». E la Parigi di Christine sono i 467.940 dollari di stipendio, più il forfait di 83.760 per spese varie, tutto esentasse, che prende ogni anno dal Fondo, tiranno con noi e generoso per sé.