CorrierEconomia, 4 luglio 2016
Chi ha nostalgia dello Stato banchiere?
La storia rema contro. Lo Stato banchiere, nell’immagine consegnata dagli anni Novanta sembra appartenere ad un’altra epoca. Appare sfocata. E se oggi si è tornati a parlare del possibile intervento pubblico nelle banche, le riflessioni non possono quindi richiamare e far riferimento al lungo periodo in cui la partecipazione dello Stato nel sistema bancario era la regola e gli intrecci tra la politica ed il credito erano strettissimi con tutte le conseguenze, tante, negative – influenza della politica sulla finanza e viceversa – e, poche, positive per il cittadino (il paracadute pubblico nei crac).
Corrispondenze
Non che manchino le corrispondenze storiche. Anzi. La creazione di un sistema pubblico di credito fu la risposta ad una crisi economica epocale, quella del 1929, che la maggioranza degli economisti ha definito comunque per il raggio di propagazione e la lunghezza degli effetti, inferiore a quella scoppiata nel 2008 e di cui proprio le banche stanno pagando ancora le conseguenze. Allora lo Stato intervenne per salvare le tre maggiori, diventate poi di interesse nazionale: Banca Commerciale, Credito italiano e Banco di Roma. Erano affossate dal finanziamento all’industria e lo Stato si fece non solo Banchiere ma anche Imprenditore, con la costituzione dell’Iri che divenne il perno della politica mista del secondo dopoguerra, fino alla fine del secolo.
In quegli anni non mancarono scandali – dalla Banca romana al Banco Ambrosiano all’Italcasse – e crisi – dal Banco di Napoli alla Cassa delle Province siciliane – incomparabili per dimensioni a quelle recenti delle 4 banche regionali, e risolte tutte senza influire direttamente sul risparmiatore. La politica dava sostegno e indirizzi passando anche attraverso le nomine dei vertici degli istituti pubblici e delle Casse di risparmio che erano, secondo la definizione di Guido Carli, «il risultato di contrattazioni estenuanti condotte nel corso di mesi e di anni dalle segreterie dei partiti politici», con l’obiettivo anche di ottenere quanto meno gratitudine dai designati.
Lo Stato imprenditore chiuse i battenti con lo scioglimento dell’Iri nel 2000, lo Stato banchiere si dissolse nel corso degli anni Novanta, con la trasformazione delle Casse di risparmio disposta con le leggi Amato e Ciampi e le imponenti privatizzazioni delle banche pubbliche coordinate dall’allora direttore generale del Tesoro, Mario Draghi.
Irripetibile
La storia, come si è detto, in questo caso non può ripetersi. E non perché siano cambiati e siano migliori i politici o i banchieri, ma perché è arrivato il potere prioritario del mercato in un quadro non più di economia chiusa come era l’Italia del primo ed anche del secondo dopoguerra, ma di globalizzazione. E comunque per le banche i confini, sempre se esistano in un mercato globalizzato, sono europei e non nazionali, indipendentemente dalle autorità chiamate ad attuare le regole e a declinare gli interventi.
Un ritorno di voglia di Stato nelle banche c’è comunque già stato ai primi colpi della crisi, nel 2010, quando il governo propose di sostenere le esigenze di capitale delle banche con i cosiddetti Tremonti Bond ai quali seguirono i Monti Bond. Altrove i governi – di Usa, Regno Unito, Germania e Francia – erano intervenuti, con effetti rivelatesi poi positivi, massicciamente con fondi pubblici ad aiutare le banche. Ma in Italia l’iniziativa fu limitata sia perché sulle banche non si era ancora abbattuta la crisi delle imprese, sia perché l’Italia aveva già allora un debito pubblico pesantissimo.
In ogni caso pochissimi istituti accettarono l’aiuto pubblico, che si rivelò comunque un affare per lo Stato. Si può dire che i Bond presi per esempio dal Monte dei Paschi di Siena, furono per la banca del Palio, che cerca ancora una soluzione definitiva ai suoi problemi, un appesantimento dei costi piuttosto che un sostegno concreto.
Il presente
Ora ci risiamo. Torna lo Stato banchiere? Ammesso che a Bruxelles il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan – dopo aver ottenuto un primo «sì» europeo sulle garanzie per la liquidità – trovi la quadra per ottenere il via libera anche a un intervento di garanzia pubblica sulla liquidazione delle sofferenze in carico alle banche, gli aiuti saranno limitati.
Il mercato è pronto a stigmatizzare l’iniziativa, di cui gli altri paesi hanno nel passato beneficiato in un contesto di regole meno rigorose, e gli stessi banchieri sono pronti a respingere ogni proposta di intervento invasivo dello Stato. «Non lo chiediamo», taglia corto Antonio Patuelli, presidente dell’Abi per il quale immaginare un ritorno del vecchio Stato banchiere sarebbe come «un ritorno ad un passato di cui non abbiamo nostalgia».
In ogni caso, lo Stato non ha mai smesso di fare il banchiere. Anche se lo fa senza licenza e senza sottostare alla vigilanza bancaria, in quanto proprietario di maggioranza delle Poste e dei suoi 13 mila sportelli. E fa anche il finanziere con la sua holding Cassa depositi e prestiti.