la Repubblica, 4 luglio 2016
La resa della Vinci, il record mancato di Isner. Cronache da Wimbledon
Non accade spesso di assistere agli Championships la domenica. È accaduto, sin qui, soltanto 4 volte volte negli ultimi 139 anni, da quando gli abitanti del borgo di Wimbledon avevano votato la loro preferenza per la quiete domenicale, la messa nella chiesa di St Mary, l’assenza delle masse umane, l’eccesso di auto e di rifiuti abbandonati per strada dai più maleducati.
Anche il Vecchio Scriba approfittava della festività domenicale, recandosi per solito al mattino alla National Gallery, a rivedere, come vecchi amici, alcuni quadri molto cari. E, il pomeriggio, a ripetere, insieme a Jaroslav Drobny, Neal Fraser e qualche altro tennista meno famoso, certi doppi dei quali gli stessi interpreti dimenticavano via via il punteggio, sommerso dalle birre. Il ritardo causato dalle continue piogge della settimana ha fatto sì che, privilegiati spettatori professionisti, siamo ritornati insieme al nostro abituale ufficio, un ufficio che qualsiasi aficionado ci invidia. A confortarci, il programma offriva per l’avvio delle undici e trenta, la partita tra la nostra eroina di Flushing Meadows, Robertina Vinci e un’americana dal curioso nome di Coco Vandeweghe. Non facevo in tempo a rivolgermi interrogativo ai miei vicini americani, che venivo investito da un’onda anagrafica, nella quale mi si diceva che: 1) Coco non era lontana parente della famosa creatrice di moda Chanel; 2) Era invece figlia di una mamma olimpionica nel nuoto, Key Hutchins, famosa anche perché affermava di aver vinto una inesistente medaglia d’argento; 3) Era nipote di una nonna che fu Miss America; 4) Era nipote di un grande giocatore di basket, il nonno Ernie, che giocava nei Knicks, e di uno zio, Kiky, anche lui cestista Nba.
Mentre simile erede di una dinastia che, in Usa, si potrebbe definire nobile, scendeva in campo, speravo, per un istante, che Roberta Vinci non fosse a conoscenza di tutto ciò, o almeno non ne fosse troppo impressionata. Fatto è che, nel vederla fianco a Coco, per le foto prepartita, non potevo non notare lo scarto fisico con quella bionda supermuscolata erede di campioni, e il mio amato statistico Luca mi ricordava che, dopo le gesta dello US Open, Robertina era riuscita a farsi superare da avversarie non proprio famose: Annalena Friedsman (57), Danka Kovinic (52), e Kateryna Bondarenko (60).
Iniziava sul Centrale la partita e, in soli 17 minuti la supermuscolata era in vantaggio 4-1, a colpi violentissimi, che faticavo a definire, sinchè il mio vicino di banco, Semeraro, mi suggeriva «l’americana le sta tirando noci di Coco». La vicenda non mutava alla fine del primo set, risolto in mezz’ora con uno scoraggiante 6-3, ma anche nel secondo la violenza di Coco non affievoliva, e due break a uno iniziali trascinavano il match al 6-4, senza che un paio di tocchi e di volè riuscissero a far sperare i più patrioti dei quindici italiani presenti nella tribuna stampa. Sentivo addirittura qualcuno che non cito mormorare, alla triste fine «Perché non imitare la Pennetta? Un bel matrimonio, e in pensione».
Terminava così la nostra mattinata di uno Wimbledon addirittura soleggiato, e avevamo modo di divertirci soprattutto con il 5° set dell’americano Isner, famoso per 70 giochi a 68 contro il francese Mahut nel 2010, stabilendo anche il record di durata, in 11 ore e 5 minuti. Oggi, sempre contro un francese, Tsonga, John Isner si è dovuto limitare, questa volta, a una sconfitta per 19 games a 17, set che ci ha occupati per sole due ore e otto minuti. Davvero, una giornata di festa assai dubbia.
Uomini: Tsonga (Fra) b. Isner (Usa) 6-7 (3), 3-6, 7-6 (5), 6-2, 19-17; Pouille (Fra) b. del Potro (Arg) 6-7 (4), 7-6 (6), 7-5, 6-1.
Donne: Vandeweghe (Usa) b. Vinci (Ita) 6-3, 6-4; S. Williams Usa) b. Beck (Ger) 6-3, 6-0