Corriere della Sera, 4 luglio 2016
Obama e quelle lunghe notti da solo
L’agenda del presidente degli Stati Uniti è più precisa di un algoritmo. Ogni ora è come spremuta fino in fondo, tra incontri, discorsi, conferenze stampa, spostamenti in auto, in elicottero, sull’Air Force One.
Ma la sera, Barack Obama chiude il mondo fuori dalla porta. E resta solo, nel suo studio. Una bottiglia di acqua gassata, sette mandorle salate, la tv accesa sul canale sportivo. È il momento per rivedere le carte, studiare i dossier, ma è soprattutto per immergersi in uno spazio finalmente libero: per riflettere, per pensare.
In una famosissima lettera scritta all’amico Francesco Vettori, Niccolò Machiavelli confidava come, dopo aver passato la giornata a girare per le sue proprietà e a «ingaglioffirsi» giocando a carte nelle taverne, tornato a casa, indossasse una veste bianca e sprofondasse nello studio e nella meditazione.
Anche Obama si definisce «un animale notturno». Il New York Times di ieri ha ricostruito la sua routine: alle 18.30 cena con la moglie Michelle e le figlie Malia e Sasha. Poi verso le 19.30, il presidente «si ritira nella Treaty Room», il suo studio privato nell’ala residenziale della Casa Bianca. Lì ci resta fino a mezzanotte e mezza, l’una, prima di raggiungere Michelle nella camera da letto al secondo piano.
Il suo predecessore, George Bush jr, alle 22 era già a letto.
Bill Clinton, invece, passava le serate al telefono.
Obama, come tutte le persone che apprezzano le profondità della solitudine, è imprevedibile. Nei primi anni di presidenza il riflusso verso il tempo libero cominciava dopo cena, alle 19.30 con una partita a boccette, nella sala biliardo. Il presidente cooptava, diciamo così, Sam Kass, il cuoco di famiglia. Poi subentrarono Malia e Sasha.
Ma ora che le ragazze sono diventate imprendibili, Barack ha dovuto rinunciare. Si alza da tavola e punta direttamente verso il divano della «Treaty Room».
Il tavolino è ingombro di dossier, di appunti. Ma rapidamente quella stanza ricca di storia diventa un osservatorio sul Paese.
Regolarmente il leader della Casa Bianca legge dieci lettere inviate dai cittadini. E spesso Obama attinge da questa riserva, più che dal mucchio dei documenti ufficiali, gli spunti per i suoi ragionamenti pubblici.
Possono essere le undici o anche mezzanotte: dal BlackBerry del presidente partono gli sms indirizzati ai collaboratori più stretti, come Ben Rhodes, il vice consigliere per la sicurezza nazionale, o Denis McDonough, il capo staff della Casa Bianca. «Sei sveglio?». «Puoi venire un momento?». La notte si accorcia, se c’è da limare un intervento, cercare le parole giuste per appuntamenti cruciali.
Ci si è chiesto spesso chi avesse scritto i discorsi, condivisibili o meno, ma sicuramente memorabili come quello pronunciato all’Università del Cairo il 4 giugno 2009 («Con l’Islam un nuovo inizio») oppure l’ultimo a Hiroshima, il 27 maggio 2016 («La morte cadde dal cielo e il mondo cambiò»). Ecco, la risposta va cercata in queste lunghe veglie nell’officina Obama. Le ricerche con l’iPad. Poi la prima, la seconda, la terza versione. Lunghi confronti su una parola, un aggettivo. A volte fino all’alba.
Gli «animali notturni» amano tirare in lungo, anche se poi la mattina dopo se ne pentiranno al suono atroce della sveglia.
Verso l’una Obama alza il volume della tv, specie se c’è un match di basket importante. La sua buonanotte, che sembra ormai quasi un buongiorno, è un ironico incoraggiamento ai suoi amici tifosi. I «Duke» del North Carolina hanno perso malamente? «Certo, avrebbero dovuto vincere», digita il presidente cresciuto all’ombra dei «Chicago Bulls».