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 2016  luglio 04 Lunedì calendario

Le lacrime di Conte il giorno dopo, inutili ed eccessive

È grande e grosso Buffon, è ancor più gigantesco Neuer. Sono anche in assoluto i due portieri più forti al mondo e hai un bell’avere la palla ferma a undici metri: con loro la porta diventa piccola. Così, al di là della fatica e dello stress, si spiegano i 7 rigori sbagliati su 18. Così non si spiegano le scuse di Pellè. Ha calciato male, ha cominciato a sbagliare il suo rigore con quello sciocco preannuncio di cucchiaio. Ma aveva combattuto e giocato una straordinaria partita nella solitudine della metà campo tedesca e non ha proprio nulla da farsi perdonare. Sennò Zaza anziché in aereo doveva tornare in Italia a passettini, come quelli della sua ridicola rincorsa.
C’è qualcosa di eccessivo nel day-after azzurro. Troppe lacrime, tanto per cominciare, visti i tempi che viviamo e le tragedie che solcano le nostre giornate. Avevano un senso profondamente umano quelle versate a caldo di Buffon. Ben prima dei rigori, era stata una sua parata sensazionale a salvare l’Italia da uno 0-2 che a quel punto ci sarebbe stato e avrebbe sigillato la sfida. La mattana inspiegabile di Boateng – altro che Pellè – l’aveva invece riaperta e l’impresa di portare la Germania ai rigori avrebbe meritato, forse, un pizzico di buona sorte in più. Non è andata così. Ed è probabile che il capitano, da sempre il critico più severo di sé stesso come succede ai campioni veri, avesse piantato sul gozzo anche quell’ultimo rigore di Hector che gli passa sotto.
Hanno un po’ meno senso quelle del giorno dopo. L’Italia ha disputato un bellissimo Europeo, e se un rimpianto può coltivare è quello del gol di Eder alla Svezia che l’ha costretta a un percorso infernale. Ha giocato complessivamente bene, a tratti benissimo, pur avendo a disposizione un patrimonio tecnico modesto. Certamente inferiore a Belgio e Spagna, che ha battuto largamente, e alla Germania con cui è riuscita a pareggiare se pur a prezzo di un lungo finale di partita di puro catenaccio. Gran parte del merito, se non tutto, è dello straordinario lavoro di Antonio Conte che ha scelto i giocatori (e fatto finto di nulla per qualche dolorosa rinuncia) li ha preparati atleticamente alla perfezione, li ha motivati al massimo e infine li ha disposti sul campo in modo da mascherarne i limiti e da valorizzarne al massimo le non eccelse qualità. Un capolavoro.
Che pur capendo il contesto emotivo dell’addio, stride con le parole del giorno dopo e in particolare con l’ennesima polemica postuma sugli stages. Primo perché i fatti hanno dimostrato come, grazie anche alla sua bravura, il tempo per fare una grande Nazionale fosse sufficiente. Secondo perché al Chelsea non risulta sia stato deportato.