la Repubblica, 4 luglio 2016
Isis e Al Qaeda, terroristi con politiche diverse
Il primo a essere ucciso è stato Cesare Tavella, un cooperante italiano di 50 anni che faceva jogging: fu raggiunto dai proiettili lo scorso settembre durante la sua corsa quotidiana fra gli alberi del quartiere diplomatico della capitale del Bangladesh, Dacca. Allora la polizia disse che gli assassini avevano ricevuto istruzioni di uccidere uno straniero bianco a caso. A ottobre, è stato ucciso un giapponese. A novembre, uomini armati a bordo di una motocicletta si sono avvicinati a un prete cattolico nel Nord del Bangladesh e hanno aperto il fuoco, ferendolo. L’organizzazione terroristica dello Stato islamico, che ai militanti che spedisce in Europa raccomanda di uccidere «chiunque e chicchessia», in Bangladesh apparentemente adotta tattiche più selettive. Negli ultimi nove mesi, Daesh ha rivendicato 19 attentati in questo Paese, quasi tutti omicidi mirati a danno di esponenti di minoranze religiose e stranieri: l’uccisione di un indù a colpi d’ascia, l’uccisione di un predicatore sciita a colpi di coltello, l’uccisione di un musulmano accusato di essersi convertito al cristianesimo, l’invio di attentatori suicidi in moschee sciite. Per anni, lo Stato islamico ha portato avanti una campagna di massacri su larga scala in Siria e in Iraq. E negli attacchi organizzati o ispirati indirettamente dall’organizzazione in Paesi occidentali, gli assalitori hanno ucciso senza distinzioni. Ma se si va a guardare più da vicino l’ultimo attentato in Bangladesh (e la mancata rivendicazione di azioni attribuite all’organizzazione in Turchia, incluso l’attacco all’aeroporto di Istanbul), la sensazione è che adotti approcci diversi a seconda delle regioni in cui opera e del “pubblico” a cui si rivolge. «Per mantenere il consenso tra i suoi seguaci, effettivi e potenziali, lo Stato islamico deve fare valutazioni diverse quando organizza un attacco in un Paese musulmano e quando lo organizza in un Paese non musulmano», argomenta Rita Katz, direttrice del SITE Intelligence Group, che monitora le azioni dell’organizzazione. «Daesh incoraggia l’uccisione indiscriminata di civili in Francia, Belgio, America o altre nazioni occidentali, ma in un Paese come la Turchia deve fare in modo di non uccidere musulmani, o almeno non dare l’impressione di volerlo fare». La questione dell’uccisione di civili sunniti è stato uno dei principali punti di attrito con Al Qaeda, quando lo Stato islamico ruppe i ponti con la rete terroristica fondata da Osama Bin Laden, diversi anni fa. Ed è riaffiorata nuovamente nell’ultima settimana. Dopo il triplo attentato suicida di martedì all’aeroporto di Istanbul, un esponente di Al Qaeda ha usato Twitter per una severa reprimenda nei confronti dell’Is. «I turchi sono musulmani e il loro sangue è sacro. Un vero mujahid deve dare la vita per loro, non massacrarli», ha scritto Abu Sulayman al-Muhajir, descritto come un membro australiano della filiale siriana di Al Qaeda. L’insolito silenzio dello Stato islamico sugli attentati in Turchia, quando in altri casi, solitamente, è sempre velocissimo a rivendicare, è un segnale del gioco di equilibrismo che il gruppo terroristico è costretto a fare quando effettua un’azione in nazioni a maggioranza musulmana. La Katz dice che lo Stato islamico «ha mostrato una discrezione simile quando ha compiuto attentati in altri Paesi musulmani, focalizzandosi su obbiettivi governativi, esponenti di correnti religiose percepite come devianze e fazioni nemiche, invece che su civili scelti a caso». Per esempio, scrive la Katz, quando l’organizzazione terroristica, il mese scorso, ha rivendicato il suo primo attentato in Giordania, si è preoccupata di identificare come obbiettivo la base militare congiunta di Giordania e Stati Uniti. A maggio, ha fatto un attentato contro una moschea sciita in un Paese a netta predominanza sunnita come l’Arabia Saudita. E a gennaio, quando ha colpito a Giacarta, in Indonesia, ha cercato in ogni modo di dipingere l’attentato come un attacco contro i turisti, non contro i locali. Sono cautele che finora erano tipiche di Al Qaeda, che esorta i suoi combattenti a evitare operazioni che possono provocare stragi di civili musulmani. La realtà è che Al Qaeda, come lo Stato islamico, continua a uccidere un numero elevatissimo di musulmani: ma questo non impedisce ai due gruppi di accapigliarsi sulla questione. «È una differenza d’approccio molto marcata», dice Thomas Joscelyn, ricercatore della Foundation for Defense of Democracies, che studia i gruppi jihadisti. «Al Qaeda vuole che i musulmani pensino che il suo terrorismo è moralmente giustificabile, mentre lo Stato islamico sostiene che solo i suoi seguaci hanno legittimità morale». Nell’attacco contro la Holey Artisan Bakery i miliziani si sono mostrati più selettivi del solito nella scelta dei bersagli. Sabato, lo Stato islamico ha diffuso foto degli attentatori, scrivendo che avevano «colpito nel cuore del raggruppamento di cittadini di nazioni crociate». Anche se non era chiaro quanti musulmani fossero stati uccisi nell’attacco, la descrizione dell’attentato indicava che il gruppo terroristico era ansioso di presentare la strage come un attacco mirato esclusivamente contro i non musulmani. I racconti dei testimoni dicono che alcuni degli assalitori hanno spiegato che volevano uccidere solo gli stranieri. Qualche ora dopo hanno rilasciato un gruppo di donne con l’hijab.