3 luglio 2016
Nell’assalto dell’Isis a Dacca sono morti nove italiani • Bossetti incontra la moglie dopo la condanna • Virginia Raggi cede al direttorio: saltano le prime nomine • È morto lo scrittore Elie Wiesel, premio Nobel per la pace • Le probabilità di centrare la sestina vincente al Superenalotto sono una su 622.614.630
Dacca 1 Nell’assalto dell’Isis a Dacca, nel caffé- ristorante Holey Artisan Bakery, sono morti nove italiani: Adele Puglisi, Marco Tondat, Claudia Maria D’Antona, Nadia Benedetti, Vincenzo D’Allestro, Maria Riboli, Cristian Rossi, Claudio Cappelli e Simona Monti. Si conoscevano tutti. A spingerli in Bangladesh era stata la necessità di un impiego: lavoravano nel settore del tessile (Caporale, Sta).
Dacca 2 I sette jihadisti, tutti bengalesi e giovanissimi, non miravano specificamente agli italiani. L’importante per i terroristi era che i loro obbiettivi non fossero musulmani. Tra le venti vittime ci sono anche sette giapponesi, due bengalesi, un indiano e uno statunitense. Il commando li ha uccisi proponendo prima il quesito-minaccia del terrore già noto dalla guerra in Afghanistan 15 anni fa in poi: «Sei musulmano, sai recitare in arabo la dichiarazione di fede all’Islam?». Sadrul Hasan, inviato della United News of Bangladesh , una delle agenzie stampa locali: «Sappiamo che alcuni degli ostaggi sono stati sgozzati. Ma non è ancora possibile capire quanti di loro. La polizia ha caricato i corpi nelle ambulanze all’interno del parcheggio del locale, che era totalmente transennato». Oltre ai giornalisti di Dacca, sono soprattutto i due cuochi riusciti a fuggire dalla trappola, a spiegare le fasi iniziali dell’attacco. Jacopo Bioni, veronese 34enne, in Bangladesh da gennaio, era venuto a sostituire uno chef in ferie. Racconta che era appena arrivato un gruppone di imprenditori italiani, tutti nel campo della moda. «Mi hanno chiesto una pasta speciale all’italiana. Ero appena tornato in cucina per mettermi ai fornelli quando ho sentito scoppi, urla e spari» (Cremonesi, Cds).
Dacca 3 La dinamica dell’attentato. I terroristi lanciano alcune granate che spaventano e paralizzano molti dei presenti. Hanno grossi borsoni. Non è chiaro se contengano fucili mitragliatori, però dispongono di pistole e soprattutto machete, pugnali, asce e coltelli. La polizia arriva abbastanza veloce. Sono decine e decine di agenti. C’è un primo scambio a fuoco. Gli agenti tentano il blitz. Ma dall’interno i terroristi sparano e tirano bombe. Due ufficiali perdono la vita, altri restano feriti, forse oltre venti. Gli agenti quindi si ritirano, bloccano l’intera zona, posizionano cecchini sui balconi, sui tetti. Il locale è circondato. I jihadisti hanno tutto il tempo per infierire sulle loro vittime: circa 11 ore. «Quelli che sapevano recitare i versi del Corano sono stati risparmiati, gli altri sono stati torturati», ha raccontato al Daily Star Rezaul Karim, padre di Hasnat che è rimasto ostaggio assieme alla moglie Sharmin e la figlia di 8 anni Rayan. Stavano celebrando il compleanno dell’altro figlio, il 13enne Safa, quando la loro festicciola è stata interrotta da urla, scoppi e spari. «Con i cittadini bengalesi non si sono comportati male, ci hanno anche dato da mangiare», ha spiegato. I terroristi vogliono uccidere i non musulmani. Li cercano, li deridono, li umiliano e offendono. Infine li finiscono. Verso le sette della mattina gli agenti lanciano il blitz finale. A loro dire dura solo un quarto d’ora. Ma i testimoni sul posto parlano di oltre 40 minuti dominati da scoppi e raffiche di mitragliatrice. Pare che sei terroristi siano stati uccisi, un settimo sarebbe ancora in vita e sotto interrogatorio. La prima rivendicazione è giunta dal gruppo qaedista Ansar Al Islam. In mattinata arriva la rivendicazione dell’Isis, firmata da un gruppo poco noto che si fa chiamare «L’Esercito dei Figli del Califfato» (ibidem). [Sull’argomento leggi anche il Fatto del Giorno]
Bossetti Quando la presidente della Corte d’assise, Antonella Bertoja, alle 20.35 di venerdì ha pronunciato la frase «decadenza della patria potestà», Massimo Bossetti, condannato all’ergastolo per il delitto di Yara Gambirasio (vedi Fior da fiore di ieri) ha avuto il terrore di non poter più vedere i figli, il suo ragazzo che a settembre compirà 15 anni, e le sue bambine, di 10 e 11 anni. E l’ha temuto ancora di più ieri mattina presto, quando la moglie Marita Comi e il fratello Fabio Bossetti sono andati a trovarlo in carcere. I ragazzi non c’erano, anche se il sabato è il giorno fisso per incontrare papà. Il suo avvocato, Claudio Salvagni: «Temeva di non poter più vedere i figli, invece gli ho chiarito che prima di tutto si tratta di una pena accessoria a una condanna che non è definitiva e che, comunque sia, non significa perdere il diritto di incontrarli. La moglie non li ha portati perché non sapeva in che stato d’animo lo avrebbe trovato». Sono rimasti insieme per un’ora abbondante. Non potevano che parlare della batosta della condanna. «È un uomo distrutto — lo descrive Salvagni —. Quando sono arrivato mi ha ripetuto: “Non è giusto, sono innocente, perché mi hanno condannato? Non è possibile”». Ora gli avvocati pensano a preparare l’appello. Anzi, guardano già al grado successivo: «Credo che la condanna non possa reggere in Cassazione» (Ubbiali, Cds).
Raggi Le prime nomine della sindaca di Roma Virginia Raggi, osteggiate dalla fronda che fa capo alla deputata Roberta Lombardi, stanno per diventare un ricordo. Daniele Frongia, divenuto capo di gabinetto con codazzo di polemiche sulla sua incompatibilità perché ex consigliere, diventerà assessore al Patrimonio immobiliare. Vicinissimo alla sindaca lascerà il posto di uomo-ombra a qualcun altro. Anche Raffaele Marra, dirigente comunale in quota 5 Stelle ma con una storia che affonda le radici nel tanto odiato mondo di Alemanno, abbandonerà la carica di vice-capogabinetto, per un ruolo che in queste ore i pentastellati stanno definendo con l’aiuto del direttorio. È un siluramento morbido, per uscire dall’angolo dove la prima cittadina aveva portato il Movimento. «Virginia, è una questione di opportunità politica» le hanno detto più volte, insistendo per giorni, martellando sui suoi primi atti formali da sindaca: «Lo vedi come ci stanno addosso i giornali? Hai fatto due nomine ed entrambe ci hanno creato problemi». Due nomi, due fedelissimi a cui Raggi non voleva rinunciare. Di fronte alla paralisi romana Beppe Grillo e Davide Casaleggio si sono allarmati. Sono loro e Luigi Di Maio ad aver facilitato la mediazione con il direttorio che ha costretto Raggi ad abbassare le resistenze. Pare che dopo una telefonata con il comico (non confermata) e con Di Maio la sindaca abbia capitolato (Lombardo, Sta).
Wiesel È morto a Boston, a 87 anni, lo scrittore premio Nobel per la Pace Elie Wiesel. Era nato nel 1928 a Sighetu Marmatiei, in Romania. Nel 1944 lui, tutta la sua famiglia e la comunità ebraica furono rinchiusi nel ghetto. Il 6 maggio 1944 la famiglia Wiesel fu deportata a Auschwitz Birkenau dove i genitori e i henitori e una sorella di Elie vennero uccisi. Dopo la guerra Wiesel cominciò a peregrinare e a scrivere, come giornalista e traduttore. Studiò il francese. Nel 1955 si trasferì a New York. Diversamente da Primo Levi che, appena tornato a casa da Auschwitz sentì impellente il bisogno di raccontare quella esperienza, Wiesel tacque per almeno dieci anni: non voleva né scrivere né parlare di quello che aveva attraversato durante la Shoah. Ma quando cominciò fu un fiume in piena, in yiddish, Un di velt hot geshiving (E il mondo tacque). Da quelle originarie 900 pagine fu tratto La notte, uscito nel 1992. Da questo libro in poi, Elie Wiesel è diventato uno dei grandi cantori di quell’orrore. Ma è stato anche molto altro. Intellettuale militante, sempre pienamente coinvolto nell’attualità, sempre in dialogo con le grandi questioni del presente. Nel 1986 vinse il Nobel quello per la Pace. Undici anni dopo gli fu offerta la carica di Presidente dello Stato d’Israele, ma declinò, cedendo così il passo a Shimon Peres (Loewenthal, Sta).
Superenalotto 1 Il montepremi della sestina al Superenalotto ha sfondato la soglia dei dei 100 milioni di euro. È il montepremi più alto degli ultimi anni. Solo tre vincite lo hanno superato: i 178 milioni distribuiti nell’ottobre 2010 in mezza Italia attraverso un maxi-sistema online a 70 vincitori; i 148 milioni finiti nell’agosto 2009 in provincia di Massa e Carrara; i 139 milioni divisi tra due giocatori di Parma e Pistoia nel febbraio del 2010. Vincere è quasi impossibile. Le probabilità di centrare la sestina vincente al Superenalott sono una su 622.614.630. Le stesse di indovinare in quale secondo esatto suonerà una sveglia programmata per farlo una sola volta nei prossimi 20 anni (Martini, Sta).
Superenalotto 2 Paolo Canova e Diego Rizzuto, matematico e fisico torinesi nel libro “Fate il Nostro gioco” fanno i conti in tasca ai giocatori d’azzardo con una serie di esempi. «Se scrivessimo ciascuna delle 622.614.630 sestine possibili su un post-it e mettessimo i biglietti tutti uno dietro l’altro, formeremmo una fila gialla più lunga della circonferenza terrestre. E solo uno dei post-it avrebbe scritta sopra la combinazione che verrà estratta». Altro esempio: «Fare 6 al Superenalotto giocando una sestina ha circa la stessa probabilità di indovinare il numero di telefono fisso di casa di Gigi Buffon (che abita a Torino e ha, quindi, prefisso 011) con un solo tentativo e - una volta azzeccato - lanciare 6 volte di fila una moneta facendo sempre testa» (ibidem).
(a cura di Roberta Mercuri)