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 2016  luglio 02 Sabato calendario

Come usare il punto, ora che sembra passato di moda

Nel 2007, uno studio dell’American University di Washington, D.C. lanciava l’allarme. Solo il 39% degli studenti mette il punto alla fine di una frase negli sms, il 45% in chat. Ancora meno, 29% e 35%, alla fine dell’intero messaggio. Nel 2015, una ricerca delle università di Binghamton e Rutgers rivelava come un messaggino che termina in un punto è percepito, da chi lo riceve, meno sincero di altri. Sincero appare, paradossalmente, il punto esclamativo. Non sempre, però, avvertono da Berkeley: se rinforzato, due sono meglio di tre.
Ma che succede alla punteggiatura? «Il punto sta andando fuori moda», titola il New York Times apocalittico e tutti gli altri dietro. Ma sarà proprio così? Siamo davvero, scusate il gioco di parole, a un punto morto? Perché il punto in evoluzione lo è da sempre. Se i greci avevano già introdotto puntini variamente disposti, furono gli amanuensi medievali a farne vasto uso, inventando nuovi segni. Il punctus era versatile, e galleggiava tra le frasi. Alla fine del Cinquecento esistevano almeno tre definizioni del punto esclamativo («ammirativo», «affettuoso» e «patetico») e i grammatici del 1700 litigavano su come chiamare il punto. In Moby Dick e Orgoglio e Pregiudizio la virgola è più un suggerimento che una regola. George Bernard Shaw snobbava gli apostrofi; Kurt Vonnegut e George Orwell avevano in odio il punto e virgola. Marinetti predicava l’abolizione della punteggiatura in toto, definendo il punto «sosta assurda», e il grande editor Bob Gottlieb ha raccontato le lotte per le virgole con John Le Carré: lui le aggiungeva, quello le toglieva di nuovo.
«La tesi che Internet stia uccidendo il linguaggio è diventata un ritornello, anche perché col web questo si evolve molto più velocemente», spiega al Corriere David Crystal, celebre linguista britannico e autore, l’anno scorso, di un libro sul punto (Making a point, St. Martin’s Press). «Ma sono pochi i filologi convinti che, invece di espanderle, Internet eroda le capacità linguistiche. Anni fa, per ironizzare sul panico scatenato dai messaggini nei puristi, avevo pubblicato un saggio, Txtng: The Gr8 Db8. Oggi, chiunque scrivesse bass8 per bassotto sembrerebbe uno sciocchino. Nessun teenager usa più certe abbreviazioni».
Tra i depositari della punteggiatura formale c’è il New Yorker. Che scrive ancora I.B.M. con i puntini, anche se l’azienda stessa li ha eliminati da anni. «Il punto è uno strumento di civiltà, perderlo riporterebbe indietro di un millennio», dice Mary Norris, che in quarant’anni al giornale ha «passato» da John Updike a John McPhee, e su punteggiatura & C. ha scritto un bestseller (Between You & Me: Confessions of a Comma Queen, Norton, 2015). «Noi teniamo moltissimo ai punti, ad esempio negli acronimi, ma soprattutto per chiarezza. Omettendo la punteggiatura alla fine dell’ Ulisse, Joyce è obbligato a frasi di costruzione chiarissima, altrimenti risulterebbe incomprensibile. Curiosamente, la rimozione del punto ricorre ai due estremi dello spettro: social e poesia. La massima informalità e la formalità massima».
È quella che Crystal definisce «digrafia»: due versioni della stessa lingua scritta che coesistono. Non a caso lo studio di Binghamton e Rutgers precisa che nella scrittura a mano la percezione d’insincerità è del tutto assente: «Il punto rimarrà essenziale per circoscrivere una frase in testi dove queste appaiono in sequenza. Altrimenti sarebbe una Babele».
La vera novità, quindi, non è l’omissione del punto, ma la sua carica emotiva. «È il segno più neutro – osserva Crystal —. Ma se non metterlo alla fine di una frase è diventata la normalità allora il punto acquisterà significato».
Non solo falso, l’umile punto è diventato anche aggressivo: tutta una gamma di emozioni. «Se metto un punto alla fine di un sms – raccontava un professore dell’Università della Pennsylvania – mio figlio teme che io sia arrabbiato». Troppo drastico, meglio i tre puntini («No…»). Ci sono i punti tra parole per enfatizzare («Viene. Giù. Tutto»), e se una volta scrivevamo «O.K.», il più contemporaneo «ok» appare distaccato, ragion per cui gli abbiamo aggiunto sette esclamativi («ok!!!!!!!»). Il bisogno di piacere, anche nella punteggiatura.
Nascono anche nuovi simboli. Il blog Grammarly nota la diffusione social della virgola esclamativa (con la virgola al posto del punto), coniata nel 1992 ma mai realmente adottata. Per esprimere entusiasmo (sic) anche all’interno di una frase.