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 1916  gennaio 30 Domenica calendario

La Madonna di Mamà

Capitolo XI

(Leggi qui la puntata precedente)

Muzio Scevola e compagni
Una mattina Bobby, con aria di grande letizia e soddisfazione, la incominciò lui la lezione, e per l’appunto, così: – Professore, mi dispiace di dovèrglielo dire; ma lei mi fa perdere il tempo ad imparare tante fandonie. Ed io perché devo studiare le fandonie?
– Sarebbe a dire?
– Ma tutte quelle sue storie di Muzio Scevola, di Fabrizio, di Cincinnato non sono vere niente del tutto. Sono tutte fandonie!
– E chi glielo ha detto? – domandò Aquilino turbatissimo.
– Lo ha detto il senatore X…, e se non lo sa lui che è professore all’Università ed ha la fabbrica di tutti gli altri professori, chi vuole che lo sappia? Se Romolo, se Camillo, se Muzio Scevola, se Lucrezia e compagnia bella non sono mai nemmeno esistiti, perché devo io studiare la storia di gente che non è mai esistita?
Aquilino a queste parole fece un rapido esame di coscienza. Realmente, egli poteva avere rappresentato con troppa evidenza drammatica la storia di Romolo, di Muzio Scevola, di Fabrizio, di Camillo; e quanto a Lucrezia, a Cornelia, a Virginia aveva forse tenuto conto più della presenza di miss Edith che del minuscolo Bobby. Ma per Dio, fandonie, ah questo poi…!
Ma Bobby dolentissimo, anzi felicissimo, non si mosse dalla parola fandonie; precisò anzi tempo, luogo, azione: cioè ieri l’altro sera, venerdì; il salotto di mamà, presenti tutti: Oh povero bebi, – gli avevano detto – ti fanno ancora imparare tutte queste fandonie? E poi c’è dell’altro, sentirà.
– Anche dell’altro? Ebbene, senta Bobby, – disse Aquilino levandosi in piedi con un grande convulso – le dispiacerebbe sentire se la sua signora mamma può ricevermi per un momento?
Bobby non domandava di meglio. L’ostruzionismo delle lezioni era una sua specialità. E corse di là.
Manigoldo! – fremeva Aquilino. – Ecco la riconoscenza per tutto quello che faccio! «Fandonie!».
Poco dopo Bobby ritornava tirandosi a rimorchio la mamma e anche miss Edith.
La marchesa capì al primo sguardo che Aquilino bolliva col coperchio chiuso, e con quella squisitezza che era tutta sua, parlò così: – Bobby non le ha raccontato che imperfettamente, cioè a modo suo. Tutti, anzi, (la marchesa si riferiva ai personaggi dei suoi ricevimenti) sono rimasti enchantés dei progressi fatti da Bobby, ed il senatore non meno degli altri. Ma purtroppo Bobby è un farceur incorreggibile, e si è messo, ier l’altro, a far la parte di Muzio Scevola quando stende la mano sul fuoco. E poi, l’altra scena quando il re Pirro tira la tenda e fa venir fuori l’elefante con la proboscide per spaventare il virtuoso Fabrizio. E infine Orazio che butta a terra i tre Curiazi. Impossibile non ridere! Da questo punto Bobby non c’entra più ed entrano in scena altri personaggi: insomma si accese un poco di discussione intorno a Roma antica, ed il senatore – suo professore, del resto – e che come lei non ignora, è una autorità del genere, ha fatto osservare che i primi sécoli di Roma sono fole ampiamente dimostrate insussistenti dalla critica tedesca…
– Io ho inteso fandonie – interruppe Bobby –; e che non si spiegano più nei ginnasi.
I miei compagni non le studiano, e non le voglio studiare nemmeno io!
Evidentemente Bobby era, per intuirlo, seguace della teoria del minimo mezzo.
A questo punto intervenne miss Edith. Ella aveva con sé due manuali scolastici di Storia Romana in uso nelle scuole italiane, e con un Please! sir, rivolto ad Aquilino, gli sottopose il fatto che anche la pedagogia italiana, uniformandosi al metodo tedesco, aveva soppresso quei fabulous tales.
Ah, era quello il bel frutto delle sue drammatiche lezioni sull’anima anche di miss Edith?
– Infatti, signorina – rispose con calma e seguendo su le pagine il dito di miss Edith, che sfogliava quei manuali – infatti lei ha ragione. Nei nostri libri di scuola queste leggende sono appena accennate. Lei ha perfettamente ragione.
Ma qualcosa gli ribolliva oramai, più forte che l’affare delle fandonie.
E si ricordò quando due o tre ragazzacci studenti – ai quali Aquilino teneva un po’bordone – si divertivano nella libreria, sempre vuota, della sua città, sì che si poteva anche urlare, ad abolire, nel nome della scienza e della critica, proprio Lucrezia, e Muzio Scevola, e Fabrizio e Camillo; e un po’anche i dieci comandamenti; e un po’anche qualche altra cosa; giacche quando si può togliere un mattone, niente vieta di togliere il resto. E il buon vecchio del bibliotecario non si sdegnava per quella giovinezza; e spesso li chiamava vicino a sé dicendo tutt’al più: – Venite qui, filosofi dell’abbicì.
Ora dunque gli tornarono a mente le già derise parole del buon vecchio, quando difendeva l’antica sapienza italica contro gli oltramontani, come lui usava di esprimersi.
– Sinceramente, – disse Aquilino, moderando se stesso – se il signor senatore è positivista per uno, io sono positivista per due. Della storia romana io me ne… Ma mi secca, sa, signora marchesa, passare per… Ma cosa vuole che importi se Romolo, se Lucrezia, se Muzio Scevola, se Fabrizio sono esistiti sì o no? e se la critica storica li ha aboliti? Quello che il signor senatore e tutti i suoi (voleva proprio dire mardochei) non possono abolire, è Roma e il suo imperio che esistette realmente. E il fondamento di Roma sta tutto qui; in questi miti, in Romolo che, morendo, annunzia che Roma sarà capo del mondo; e perciò siano coltivate le armi; in Lucrezia che muore perché dal suo esempio nessuna donna romana divenga impudica; in Muzio Scevola che afferma, civis romanus sum! fàcere et pati fòrtia romanum est; in Fabrizio la cui virtù è molto spaventevole, miss Edith, perché dice a Pirro, che lui non vuol l’oro, perché vive con una rapa, ma gli piace comandare a quelli che posseggono l’oro. Questo è il terribile mito della disciplina di Roma! E quanto all’Orazio che distanzia, divide e poi abbatte i Curiazi, la cosa è molto più seria che non sembri, perché quella di Orazio è stata sempre la tattica di guerra che ha finito per vincere in tutti i tempi. Sì, caro Bobby, Muzio Scevola, forse non è mai esistito; e sa lei perché? perché non ne è esistito uno, ma molti! E se nei libri di scuola italiani, signorina Edith, le leggende di Roma, come lei mi dimostra, sono state depennate, io come italiano, ne arrossisco, e peggio per noi!
Aquilino così parlando, ebbe la sensazione interiore di essere bello. Ne vedeva il miràglio nella attitudine un po’nuova e un po’sorpresa delle due donne.
La marchesa fu la prima a parlare: fece anzi il suo bel risolino e – Lei dice bellissime cose – proferì – ma un po’di colpa è anche sua: se lei fosse venuto alle nostre conversazioni, avrebbe potuto far valere con quei signori queste sue ragioni, meglio che con noi. Quanto a Bobby, se lei crede, noi stiamo ai programmi governativi, nevvero?
– Ma si figuri, signora marchesa, (e voleva proprio dire: io lego l’asino dove vuole la padrona).
Bobby saltava dalla gioia: – Allora non li studio, allora non li studio più i Muzio Scevola. Mamà, di’allora al professore anche quell’altra cosa…
– Ma no, una sciocchezza, Bobby…
Aquilino si ricordò che Bobby gli aveva detto che c’era «dell’altro» oltre alle fandonie; e pregò la signora marchesa di volerlo chiarire anche su quest’altra cosa; tanto più che Bobby insisteva con un: – mi riguarda direttamente!
– Allora si tratta di questo – disse la marchesa – cioè del libro di testo degli esercizi latini che lei ha scelto e che non corrisponde precisamente al libro che è stato adottato nei ginnasi pubblici… Se lei ricorda, noi eravamo intesi di uniformarci alle scuole pubbliche, nevvero?
– Ma io ho scelto il migliore libro di esercizi, signora marchesa
– Non ne dubito…
– E allora?
– Allora le dirò: un nostro buon amico, assessore nel comune per le scuole, un uomo molto abile, molto influente, uno – in confidenza – che vuole arrivare alla deputazione politica, il leader del nostro partito, lo avrà inteso nominare, il commendator X…
– Mai inteso nominare. – Ebbene? – domandò Aquilino.
– Ecco: sempre venerdì, a proposito di quelle storie di Roma, il commendator X… domandò a Bobby quale testo di esercizi latini adoperava, e Bobby glielo disse. Proprio a proposito di quel testo il commendatore aveva fatto una campagna abbastanza vivace per abolirlo perché in esso si parla troppo di guerre, di conquiste, tutti esercizi sulle guerre…
Tutto bellum, bellum, bellum e bella e bellicosussaltò su Bobby – persino foeminae Scytarum sunt bellicosae, e interfecerunt et deleverunt et strangolaverunt.
– Zitto lei – disse la marchesa – Il commendatore X… ha osservato che per i giovanetti tutti questi esempi di guerra non sono morali; infondono anzi lo spirito del litigio, della sopraffazione nei popoli; e che pur dovendosi mantenere il latino nelle scuole, era consigliabile un testo che esaltasse, invece, le virtù civili, la giustizia, la concordia, la fratellanza. Anzi pare che voglia provocare dal ministro competente una circolare in proposito: abolire anche il de bello gallico di Giulio Cesare, o almeno ridurlo a quei passi dove non si ragioni di guerre.
Aquilino cadeva dalle nuvole.
– E poi l’altro testo di esercizi che hanno i miei compagni delle scuole è più facile – disse Bobby. – E anche in italiano hanno un’antologia più facile, tutti bei raccontini, Cecco grullo, indovinelli, poesiine.
Aquilino avrebbe strangolato addirittura Bobby.
– Ma non è più latino, signora mia! – esclamò Aquilino. – Del resto, sinceramente, mi spiegherei questo pacifismo se il commendatore X… fosse un socialista, ma per il capo del partito monarchico questo modo di vedere mi pare un poco strano…
La marchesa sorrise: – E intanto il commendatore X… per questa sua campagna, ha ottenuto elogi molto significativi dalla stampa socialista, dalla stampa radicale. Sa? La verità è una cosa, e la politica è un’altra.
– Capisco (cioè, non capisco niente, voleva dire). Oh, io sono disposto a mutare gli esercizi fin che lei vuole. E noi, caro Bobby, leggeremo in italiano la novella di Cecco grullo. Al mio paese conosco un cameriere, un curioso tipo, che ne fece una bellina ad un avventore. Questo era un gran signore, e gli disse: “Sì, questo vino è buono, ma un po’troppo spiritoso. Ho paura di non poterlo digerire. Non avresti del chianti più leggerino, più delicato?» «Subito, signor conte, perché al mio paese o danno del conte o del poverino. Porta via il fiasco, va in cucina, si mette il collo del fiasco in gola, beve la metà del vino, poi ci schizza dentro un sifone di acqua di seltz; e, – Ecco il chianti che lei desidera». L’avventore lo trovò di suo gradimento e pagò senza fiatare quattro lire invece di due. Era mezzovino e non vino. E così io, signora marchesa, se lei desidera, le posso mutare tutti i Romani in tanti padri Cristofori del Manzoni. Ma onestamente la preavviso che non sono più Romani, (ma Romani evirati, voleva proprio dire, perché era proprio fuori della grazia di Dio, evirati come il suo buon amico, leader del partito monarchico).
Ma la marchesa col suo sorrisino già faceva molto ben capire ad Aquilino che si era spinto un po’troppo in là con quella volgare comparazione paesana. – La prego, la prego – come un – la prego, si calmi. Lei è molto giovane. – aggiunse poi – ed i suoi entusiasmi sono belli: ma creda, in questo, come in tutto il resto, è questione di forma. La forma! Venga, venga il venerdì alle nostre conversazioni. Il vivere un po’nel mondo vedrà che le smusserà certi angoli senza che lei se ne accorga.
Aveva un tono quasi di superiorità materna, donna Barberina!
Oh, cara mamà, – scriveva Aquilino a sua mamma – tu mi mandi magliotti e calze di lana. Ma sapessi come fa caldo qui, anche d’inverno! Anche troppo, tanto che si sentono dei brividi di freddo. Si mangia bene qui, ma sapessi quanta voglia mi viene di una di quelle minestre di ceci o di fagiuoli, che sai fare tu! Sembravano ordinarie, e invece…