Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 1916  gennaio 30 Domenica calendario

II volo augurale di Gabriele d’Annunzio su Trieste

Dopo ripetuti voli sull’alto Adriatico, Gabriele d’Annunzio, – avendo per pilota il tenente di vascello Luigi Bologna, torinese – compì il 17 gennaio un volo su Trieste, a portare ai fratelli Triestini il saluto augurale per l’anno della liberazione.
La mattinata era magnifica. L’aereoplano percorse il primo tratto del viaggio in atmosfera limpida, cristallina: ma bentosto si addensò una vasta nube dalla quale si trovò avvolto. Per qualche minuto riuscì difficile al pilota un sicuro orientamento: si scorgeva appena di quando in quando lo scintillìo delle onde sotto il sole. Il velivolo filava a più di cento chilometri all’ora.
Uscito dallo spesso strato nebuloso, il poeta scorse la lunata di Muggia, i tre moli. Rettificata la rotta, l’aereoplano puntò velocissimo sulla città di San Giusto. Volava sul suo cielo prima che le vedette lo avessero scorto. Poco dopo, però, si scatenava la furia della fucileria e degli shrapnells. La città appariva più animata che durante il volo precedente.
Il poeta lanciò anche stavolta i messaggi, ma nessuno sui sobborghi perché non andasse perduto sugli alberi o tra i campi. Tutti caddero sui quartieri centrali.
Il messaggio di D’Annunzio diceva:
«Trieste, ti portiamo nel tuo cielo il grande augurio d’Italia per l’anno che incomincia, per l’anno di liberazione che sarà l’anno primo della tua vita nuova.
«Conosciamo il tuo continuo tormento. Sappiamo che soffri la fame, il freddo, le umiliazioni, le persecuzioni, le estorsioni, le rapine, ogni sorta di angherie, tutti i mali della servitù abominevole. Sappiamo che patisci oggi come non mai e che il prossimo domani è per essere anche più duro. Ma la nostra volontà ogni giorno più si afforza della tua passione, o Fedele. Non è dubbio in noi, non esitanza, né stanchezza, né desiderio di tregua, né attesa di pace. Tutta l’Italia, pontata su Roma, si tende per l’impeto irresistibile. La primavera s’annunzia: celebreremo il Natale di Roma come se la città rinascesse quadrata da questo nuovo solco sanguigno, il più profondo e il più diritto che abbia mai aperto nel suolo e nello spirito il popolo antico e giovine. Ti orneremo l’altare di San Giusto con tutte le verbene del Palatino. Traslateremo nella tua terra santa i corpi dei tuoi figli caduti combattendo.
«Ruggero Timeus, Giacomo Venezian, Scipio Slataper, i tuoi gloriosi fuorusciti, sono morti per la tua libertà e per la nostra vittoria. Altri della tua gente, non celebrati, ma non meno alti, hanno versato e versano a gara il sangue, nel Cadore, nella Carnia, nel Carso. Riccardo Pitteri, il tuo poeta, il tuo testimonio, il tuo assertore costantissimo, anch’egli è trapassato, col desiderio di te nel suo ultimo soffio; e da Roma il suo corpo fa sosta a Venezia, nell’isola sepolcrale dell’Arcangelo, aspettando di ricongiungersi al tuo amore e di aver pace nella tua pietra forte.
«Ti rechiamo il compianto di tutta l’Italia commossa, che ha inciso i loro nomi nelle sue nuove tavole, a sé e a te promettendo la festa trionfale dei martiri, che già parve iniziata nell’anniversario recente quando ella beatificò Guglielmo Oberdan con un atto unanime di fervore.
«O Trieste, ti rechiamo oggi nel tuo cielo, con il compianto e con il conforto e con l’orgoglio della Patria infiniti, l’augurio per il nuovo anno che è il tuo anno mirabile, il tuo Anno primo.
«Ritorneremo fra breve per calare nel tuo specchio d’acqua, dinanzi ai tuoi moli imbandierati del Tricolore».
Dopo ampie evoluzioni l’apparecchio, sempre inseguito dalle artiglierie, riprese la via del ritorno. Era in vista di Venezia a mezzogiorno. E su Venezia, sulle cupole della Basilica il poeta gettò un plico tricolore, contenente, simbolicamente, il saluto di ricambio di Trieste alla città delle Lagune:
«Trieste, che soffre e resiste con mirabile costanza, manda oggi a traverso il golfo il suo sorriso di dolore a Venezia, che, come lei, paziente e intrepida, non dubita della vittoria e non cessa di affrettarla con i voti, con le opere e con i sagrifìci.
Et percussa valet, 17 gennaio 1916».
Il messaggio, raccolto, fu consegnato al sindaco, conte Grimani, per essere deposto nel Civico Museo.