L’Illustrazione Italiana, 30 gennaio 1916
La grande manifestazione patriottica del 19 gennaio alla Scala con l’intervento di Gabriele d’Annunzio
Fu lo scopo benefico della serata, dedicata dall’Associazione Lombarda dei Giornalisti a soccorrere gli orfani della guerra? Fu il nome magico del poeta di Pescara, il desiderio di salutare il tenente D’Annunzio, che alterna al volo della fantasia meravigliosa inneggiante alla nostra guerra di giustizia, i voli pericolosi e superbi dell’areoplano sulle terre prossime alla redenzione, voli dei quali i nostri lettori troveranno la riproduzione in altra pagina? Fu il piacere di assistere, nella rappresentazione della Battaglia di Legnano, quasi a una première d’opera verdiana, d’un Verdi lontano ormai, è vero, nelle forme artistiche dalle idee musicali moderne, ma vibrante dello stesso sentimento che oggi agita e solleva tutte le anime nostre? Chi potrebbe analizzar tutto ciò? Come certi liquori le cui qualità delicatamente inebbrianti non si possono misurare perfettamente col filtro, formate come sono dal profumo misterioso delle erbe, dalla forza del sole, dall’opera del tempo, così in un grande successo è difficile scindere l’uno dall’altro i vari elementi che lo compongono; ed era già un grande successo, la sera del 19, l’aspetto della Scala gremita in ogni sua parte del più grande e magnifico pubblico milanese, splendente dei più bei nomi e dei più bei visi, sfavillante di eleganza, animata da lunghi fremiti d’aspettativa. Né l’aspettativa fu, in alcuna parte, delusa. Il successo artistico fu, complessivamente, ottimo; ma tre o quattro volte, nella serata, si ebbero poi taluni di quei rari e grandi momenti d’emozione il cui ricordo resta nei cuori indelebile. Quando, sotto le basse cripte di Sant’Ambrogio, i Cavalieri della Morte, al ritmo d una musica veemente e tragica, giurarono fedeltà alla patria, sguainando le spade; quando, apparso in uniforme militare, gettati sul tappeto, con agile grazia soldatesca, i manoscritti delle sue poesie, Gabriele d’Annunzio, con una pronuncia nitida, risoluta, quasi tagliente, disse, scandendo le sillabe: «Noi non torneremo indietro se dalla chiusa di Verona l’Adige non si rivolga al monte» quando, nei suoi versi, egli disse:
Ala, una città presa per amore!
E l’eroe d’Ala uvea nome Cantore
E il suo canto è scolpito sulla roccia.
o evocò il «Dio verace» presente all’eroismo del padre cui son morti due figli in guerra, ed offre il terzo e sé stesso con lui; quando, infine, uscito di scena fra gli applausi il poeta, il pubblico chiese a gran voce gli inni della patria, e li udì in piedi, acclamando, e le spettatrici, nei palchi, si drizzarono, formando una quadruplice ghirlanda di svelte apparizioni armoniose, raggianti nel loro sorriso velato di commozione, in ognuno di questi momenti il pubblico ebbe il senso d’aver vissuto istanti indimenticabili.
Non faremo, dopo di ciò, della critica letteraria e musicale, che verrebbe anche in ritardo. Noteremo solo, come delle due «Preghiere» dannunziane quella «Pei combattenti» sia forse più severamente bella, nella impeccabile sonorità delle sue quartine di bronzo, nella ricchezza delle rime e delle immagini:
S’oscuraron nell’ombra tutti i marmi,
Risplendettero tutte le fucine,
Le città ridivennero eroine
Eumide, ansarono: «Armi! Armi! Armi!»
Ma dall’immondo Barbaro la viva
Guerra sepolta fu come carogna.
Soffocata nel tossico fumante
E rituffata nella lorda pozza,
Come quell’ira che del fango ingozza
Nello Stige implacabile di Dante;
mentre però la preghiera pei «Cittadini» si rivelò di più immediato effetto sulla folla, per quel suo irresistibile crescendo di commozione, come per la dolcezza di sentimento che è quasi una nota nuova nella impetuosa lirica di D’Annunzio, e ci richiama alla lontana soavità dei versi per la madre e per la sorella.
Quanto alla Battaglia di Legnano certo sarebbe ardito il sostenere che i sessant’anni trascorsi dal giorno della sua nascita non abbiano lasciato traccia del loro passaggio sulla fisonomia dello spartito verdiano; certo, chi ricorda il gemito e il ruggito d’Otello:
Dio, mi potevi scagliar tutti i mali, non può a meno di sorridere nell’udir la gelosia e il dolore d’un marito tradito esprimersi in una romanza passabilmente banale; ma ciò non toglie che, anche a parte il suo significato storico e patriottico, la Battaglia dì Legnano mostri in molti punti l’unghia del leone. Cosi nel melodioso andante della sinfonia; così nella descrizione orchestrale del crepuscolo, nella dolcissima scena della benedizione di Rolando al suo bambino; così nell’appassionato finale dell’opera. Ma dove veramente il genio verdiano s’afferma più potente è innegabilmente nelle grandi scene corali, nelle pagine da cui sale, con slancio irrompente il grido delle folle; il bello e rude coro «Viva Italia», il concitato finale del secondo atto, a Como, la scena del Giuramento, già ricordata, sono veramente dell’entusiasmo meravigliosamente musicato, hanno davvero, fra i righi, il colore e la fiamma. Il pubblico fremette, scosso e plaudente, nell’udir le pagine leonine, nel ritrovar in esse la traduzione del proprio sentimento.
L’esecuzione concorse al bel successo dell’opera con la Raisa, «Lida» soavemente dolorosa, dalla purissima voce, col Danise, «Rolando» dignitoso e appassionato, col Crimi, eccellente «Arrigo», col Cimino, buonissimo «Barbarossa». Il Marinuzzi diresse ottimamente lo spartito, riuscendo a trarne in luce tutto il significato d’arte e di sentimento: molto bene i cori, belli i costumi e la messa in scena, evocante la visione dell’antica Milano, patriottica e fiera come la Milano d’oggi.