L’Illustrazione Italiana, 30 gennaio 1916
Lo specchio cieco
Baden, dicembre
Per farci ben riflettere sui vari aspetti della guerra nel suo paese, Fritz Austerlitz ci offre ora un libro: Lo specchio cieco. Cieco e ridotto dalla censura tedesca, in frammenti. Ma anche il poco che se n’è salvato vale ad illuminare qualche idea.
Friedrich Austerlitz, chefredakteur della Wiener Arbeiterzeitung, è considerato in tutta l’Austria come una delle più eminenti teste della Sozialdemokratic. Ed è perciò anche stimato, nei tempi che corrono, come un individuo pericoloso. Non c’è dunque da stupire se, qualche mese fa, gli abbiano nettamente rifiutato a Vienna il permesso di stampare Lo specchio cieco. Dissero i censori viennesi: – «per i concetti in parte esagerati, questo libro è capace di turbare la pace interna e di compromettere la difesa nazionale». – L’autore si rivolse allora alla Germania, sperando di trovare dei freni meno stretti. Portò il manoscritto pericoloso a Monaco. Quivi il ministero bavarese della guerra respinse, giudicando però che non tutte le parti del volume erano condannabili. E l’autore, infine, si decise a pubblicare quel poco che a Monaco parve giusto non sopprimere. Ecco perché l’editore Georg Müller di Monaco diffonde oggi per le terre tedesche i frammenti superstiti del libro viennese: Der blinde Spiegel.
Secondo 1’Austerlitz lo specchio della odierna vita austriaca è cieco, opaco, senza trasparenze, per la mischianza di troppe fonti impure. Se noi leggiamo, egli avverte, una qualunque storia dei tempi passati, notiamo facilmente come fossero scarse le sorgenti a cui gli scrittori potevano attingere per ricostruire e rappresentare gli eventi. La stessa deficienza di fonti non può deplorarsi, oggi, in Austria. Ce ne sono, anzi, di troppe. Quegli che vorrà raccontare all’umanità futura come
popolo austriaco abbia sopportata la guerra mondiale, quali sentimenti essa abbia suscitato in lui, quali effetti essa abbia avuto sugli uomini politici e sullo Stato, non si troverà in secco. Piuttosto l’imbarazzeranno l’abbondanza e la ricchezza delle varie fonti. In Austria non si stampò mai tanto come da che è scoppiata la guerra. Ch’essa duri ancora un anno e la raccolta dei documenti, la loro cernita, la loro riunione in un’immagine unica e sommaria, riuscirà d’enorme fatica per lo studioso. La possibilità di cavar fuori, dalla congerie mostruosa di tutti questi documenti, un giudizio preciso sull’effetto della guerra nei nostri uomini, appare sempre meno raggiungibile. «E questo giudizio – scrive 1’Austerlitz – dovrebbe apparire di gran lunga più importante di quell’altro che gli scienziati della guerra depositeranno ai piedi della loro speciale dottrina. Perché nel perfezionamento della scienza dei massacri si può comprendere l’impulso a nuove guerre, mentre dal modo in cui la guerra mondiale ha influito sugli uomini e dal modo in cui l’umanità ha reagito, può interamente dipendere la possibilità che questa guerra sia 1’ultima. Se la guerra lasciasse l’umanità in quelle condizioni che troppi documenti ci testimoniano, cioè in condizioni d’entusiasmo per la continuata carneficina, allora ci mancherebbe quell’energia etica e psicologica indispensabile a resistere contro la nuova prossima guerra. Ma se l’umanità fosse invece cosciente degli orrori della guerra, se l’orrore di questo mostro s’attaccasse con cento artigli alle nostre anime, allora l’umanità saprebbe rendere impossibile qualunque prossima ripetizione di guerra mondiale».
Quanto e come la guerra influisca sull’animo del popolo austriaco, si preoccupa di stabilire l’Austerlitz. «Se noi dovessimo dedurre e calcolare l’effetto della guerra da ciò che stampano oggi i giornali austriaci, il nostro popolo apparirebbe il più entusiasta fra tutti i popoli belligeranti. E secondo tali testimonianze, la guerra – indipendentemente dalla sua origine, che fu assai contestata, e dalle sue tendenze, che sono ancora poco note – sarebbe stata accolta e condotta dappertutto con passione. Secondo tali testimonianze, la guerra sarebbe stata salutata come una liberazione, come una esaltazione». Circa la verità di tali sentimenti l’autore dubita forte. I riflessi che dell’anima popolare offrono i giornali austriaci non sono sinceri. La loro pretesa purità di documentazione è piuttosto un inganno. «In mezzo all’atroce convulsione portata dalla guerra mondiale, consideriamo bene qual è lo specchio che ce ne riflette l’immagine, consideriamo attentamente come le testimonianze vennero create, consideriamo con rigore gli elementi estranei ed artificiosi che vennero mischiati alle fonti dell’informazione. L’inchiesta sul modo in cui la guerra austriaca riceve oggi la sua popolarità esteriore è certamente assai difficile ad essere condotta. Ma prima che molti dati di fatto sfuggano alla nostra osservazione sarà opportuno legarli qui alla nostra memoria… (17 linee soppresse dalla censura tedesca)».
«(8 linee soppresse dalla censura tedesca)… in Austria si può stampare col permesso dell’autorità… (2 linee soppresse dalla censura tedesca); la censura non è obbligata a rendere conti… (3 linee soppresse dalla censura tedesca) e si valuterebbe falsamente il suo effetto se lo si ricercasse solo nelle sue famose macchie bianche. Tali traccie ch’essa lascia non sono che un’infima prova della sua attività. Con altro e più considerevole vigore essa dimostra il suo dominio (73 linee soppresse dalla censura tedesca)…
«La censura è, in tutti i paesi, un’istituzione di guerra, sconosciuta durante il periodo di pace. Da ciò ne deriva quel tentennamento, quell’incapacità, quella confusione che si deplora così in Francia come in Italia. I censori viennesi, al contrario, sono i più esperimentati nel loro mestiere e si conducono con una perfezione ammirevole, con una perfezione spiegata solo da una abilità e da un esercizio durati da più d’un decennio… (25 linee soppresse dalla censura tedesca).
«Riflettiamo bene, esaminando gli aspetti della guerra che ci dànno i giornali: nel loro specchio cotidiano niente si riflette che non sia conceduto o voluto dalle eminenze della guerra. È facile allora comprendere il valore di tali testimonianze. A cosiffatta censura bene si accorda il carattere dei giornali austriaci e, specialmente, di quelli viennesi. Non ci si lasci ingannare dalle proteste ch’essi formularono sul principio della guerra contro la censura. Essa si oppose all’eccessivo andazzo delle false notizie sensazionali ed all’affarismo losco della nostra stampa. Ma non soppresse nessuna libera opinione. Per sopprimere una qualche opinione dei nostri giornali bisognerebbe, anzitutto, trovarne. Far violenza ad uno spirito che tenti di farsi comprendere, ecco una continua reale impossibilità per la nostra censura, che non troverà mai nella stampa austriaca un qualche ardimento, una qualche novità spirituale. Soffocare una voce, castrare una intelligenza? Fantasie! Una stampa che non viene mai sequestrata in tempo di pace, è egualmente innocua in tempo di guerra. Essa s’è incatenata da sé stessa. Se la guerra non avesse provvidenzialmente limitata la libertà d’enunciare le opinioni, questi nostri giornali non avrebbero avuto niente da dire, perché non posseggono opinioni… L’orrore del lettore viennese per i proprii giornali è perfettamente ragionevole. Proviene dalla loro inguaribile monotonia. Non solo si rassomigliano come un uovo ad un altro uovo, ma ogni esemplare è la ripetizione volgare degli altri precedenti. Il più grande giornale di Vienna in più che un anno di guerra non scrisse che un vero e proprio articolo, quello noto per definire il nuovo nemico italiano un’accozzaglia di farabutti e di bruti. Ma queste fanfaronate, queste eterne diatribe intessute soltanto sull’ingiuria non fanno che irritare i nervi delle persone di giudizio. Bisogna ammettere che da noi la guerra abbia finito per livellare tutto, anche l’individualità del pubblicista. L’ordine del giorno del feld-maresciallo von Höfer appare come il modello della nostra prosa giornalistica. Ma neppure esso si salva dalla uniformità terribile, dalla vacuità che governa sulla stampa austriaca. In Germania… (1 linea soppressa dalla censura tedesca) c’è almeno un po’di variazione… (2 linee soppresse dalla censura tedesca). Ma a Vienna non vale che quest’unica divisa: «Pestate duro sul nemico». E si pesta con uniformità che è divenuta convenzionale. Non c’è passione; c’è semplicemente un eccesso di stile… (9 linee soppresse dalla censura tedesca).
Ho tradotto cosi un largo brano dell’Austerlitz per rendere la vivacità del suo movimento polemico e la sua singolarissima posizione d’osservatore. Egli si duole che la guerra mondiale non sia tenuta in Austria nel conto di un fatto morale e storico enorme, ma soltanto come un caso passeggiero di cronaca, come un fenomeno che tocchi semplicemente la curiosità umana. La guerra rimuove tutto ciò che lo sviluppo sociale ha prodotto; annulla le antitesi già insormontabili; sradica certi concetti consacrati nei secoli, come la proprietà privata; cancella come pregiudizii quelli che passavano per ideali; sopprime perfino la volontà di vivere sostituendovi il sovrano sprezzo della morte. Ebbene, tutta questa sfolgorante grandezza dell’avvenimento mondiale in Austria non s’è compresa. Così la ragione ragionata come la fantasia più sbrigliata restano perplesse, in Austria. Non chiedono, non cercano dove l’Impero si avvii, dove l’umanità si precipiti, di che cosa sarà fatto il domani. La guerra cambierà soltanto la carta geografica dell’Europa o modificherà altresì le linee fisionomiche dell’umanità? Per chi viva in Austria la tranquillità – ossia l’ignoranza – è assoluta. Nessuno ama indagare. Ciascuno contiene il guazzabuglio dei suoi pensieri nella scatoletta cranica e partecipa alla guerra con quella irresoluta e passiva azione che gli comandano. Null’altro. E gli scrittori continuano a produrre della letteratura effimera e della scienza di velocità.
Tale il quadro dell’Austria che ci dà l’Austerlitz e che io vado rendendo con le frasi stesse dell’autore per non sminuirlo di autorità e di gravezze… C’è una banda di letterati, egli continua, che si sono gettati sulla guerra come si sarebbero gettati su di una nuova tendenza filosofica o su d’una nuova arte di danza. Sfruttano l’occasione. Essa fornisce degli episodii graziosi e drammatici, pittoreschi sempre, nei quali il vapore del sangue e le voci dello strazio si mescolano insieme, confondendo la verità con la leggenda. Non sono mai originali. Ripetono piuttosto la dottrina neo-tedesca, che non è soddisfatta di concepire la guerra come indispensabile per decidere la potenza dei popoli, ma che la raccomanda calorosamente come il vangelo del nuovo pangermanismo. Questi cinici letterati, che fanno del dilettantismo di guerra dal tiepido trinceramento delle loro poltrone, muovono lo sdegno dell’Austerlitz, che riesce ad esprimersi con evidente violenza, pur fra le frequenti parentesi che la censura tedesca apre nel suo dire. La guerra, che è là, egli dice, ci obbliga a riconoscerla, ma non a comprenderla a rovescio. «Per questo io sento l’incantesimo guerriero dei nostri imboscati – Zuhausgebliebenen – come un’ingiuria all’umanità. Costoro scrivono anche dei versi. Ma forse i nostri soldati li cantano? Via, non parliamone. I nostri scarabocchiatori utilizzano invano i litigi dei popoli per trarne dei canti di odio. I nostri binati non cantano. Il falso canto d’odio di Lissauer non ha avuto fortuna sul fronte… Ed è che nonostante tutto, il popolo austriaco ha conservato un buon stomaco; sopporta ciò che uno stomaco più gentile non digerirebbe, ma vomita ciò che è volgare sofisticazione. Ed i nostri soldati non debbono essere fatti per cantare l’odio, ma per vomitarlo insieme con le false canzoni!». Negli articoli dei pubblicisti austriaci, continua l’Austerlitz, si ospita perpetua la collera, con i suoi gradi più alti – il furore, la rabbia. Per l’identità fatale delle loro uniformi osservazioni, i giornalisti non possono infatti differenziarsi che col linguaggio turpiloquente. Ma ve n’hanno di quelli che pretendono di fiutare la guerra dalla loro residenza di Vienna: sono i feuilletonisten, per i quali la guerra appare come una rappresentazione gioiosa. Essi hanno per motivo costante il ritornello: – «Lustig ist’s Soldatenleben!» – Gaia è la vita dei soldati! – E se il feuilletonist andrà sul fronte egli regalerà poi al pubblico una serie di impressioni colorite. Ma è certo che la poca distanza dal fronte, che è poi sempre una grandissima distanza, scompone la sua fantasia. Il fenilletonist, osserva sarcasticamente l’autore, è sempre più interessante, più vario, più ricco d’attrattive quando considera la guerra dal Semmering o da Ischi, che sono le più deliziose e romantiche passeggiate di Vienna… Il feuilletonist, vestito in feldgrau, in grigiocampagna, è la creatura più ibrida che la guerra abbia prodotto in Austria. Il suo entusiasmo non è che una mercanzia da fiera: lo distilla laboriosamente nelle zeitungen da 20 hellern, poi lo mette sotto sale per conservarlo e servirlo di nuovo sotto la forma del libro…
«Se fra di noi la reazione fisica contro la guerra non s’è ancora rivelata, quella spirituale si fa già sentire. Dal fronte ci scrivono che il poema del sangue s’è trasformato nel poema della materia purulenta e fetida. Non vogliono saperne più di leggere i giornali, dove si manipola la menzogna, dove i riflessi della guerra non sono spesso che una caricatura mostruosa. Ma sapremo liberare, a tempo, la nostra guerra dalla ignobile toilette della frase falsa, dalle decorazioni ipocrite degli scarabocchiatori di mestiere? Potremo parlare della guerra, com’è nata, com’è condotta? Rendere l’immagine in uno specchio luminoso e fedele? Questa guerra, che vogliono che noi amiamo, che pretendono che noi veneriamo come una redenzione dello Stato, questa guerra non è che una leggenda nutrita, vigilata, accresciuta, con lo scopo d’ingannarci o di distrarci. Ma noi vogliamo vedere il volto della Medusa, noi intendiamo…».
A questo punto la censura tedesca interviene giudiziosamente e per sempre. Le restanti pagine del libro appaiono d’ora in poi, fino alla firma, tutte bianche. Non c’è da stupirne. Ciò che piuttosto può riempirci di meraviglia si è che siasi potuto stampare in Baviera tutto quanto di grave e di inesorabile abbiamo letto finora.
Per farci ben riflettere sui vari aspetti della guerra nel suo paese, Fritz Austerlitz ci offre ora un libro: Lo specchio cieco. Cieco e ridotto dalla censura tedesca, in frammenti. Ma anche il poco che se n’è salvato vale ad illuminare qualche idea.
Friedrich Austerlitz, chefredakteur della Wiener Arbeiterzeitung, è considerato in tutta l’Austria come una delle più eminenti teste della Sozialdemokratic. Ed è perciò anche stimato, nei tempi che corrono, come un individuo pericoloso. Non c’è dunque da stupire se, qualche mese fa, gli abbiano nettamente rifiutato a Vienna il permesso di stampare Lo specchio cieco. Dissero i censori viennesi: – «per i concetti in parte esagerati, questo libro è capace di turbare la pace interna e di compromettere la difesa nazionale». – L’autore si rivolse allora alla Germania, sperando di trovare dei freni meno stretti. Portò il manoscritto pericoloso a Monaco. Quivi il ministero bavarese della guerra respinse, giudicando però che non tutte le parti del volume erano condannabili. E l’autore, infine, si decise a pubblicare quel poco che a Monaco parve giusto non sopprimere. Ecco perché l’editore Georg Müller di Monaco diffonde oggi per le terre tedesche i frammenti superstiti del libro viennese: Der blinde Spiegel.
Secondo 1’Austerlitz lo specchio della odierna vita austriaca è cieco, opaco, senza trasparenze, per la mischianza di troppe fonti impure. Se noi leggiamo, egli avverte, una qualunque storia dei tempi passati, notiamo facilmente come fossero scarse le sorgenti a cui gli scrittori potevano attingere per ricostruire e rappresentare gli eventi. La stessa deficienza di fonti non può deplorarsi, oggi, in Austria. Ce ne sono, anzi, di troppe. Quegli che vorrà raccontare all’umanità futura come
popolo austriaco abbia sopportata la guerra mondiale, quali sentimenti essa abbia suscitato in lui, quali effetti essa abbia avuto sugli uomini politici e sullo Stato, non si troverà in secco. Piuttosto l’imbarazzeranno l’abbondanza e la ricchezza delle varie fonti. In Austria non si stampò mai tanto come da che è scoppiata la guerra. Ch’essa duri ancora un anno e la raccolta dei documenti, la loro cernita, la loro riunione in un’immagine unica e sommaria, riuscirà d’enorme fatica per lo studioso. La possibilità di cavar fuori, dalla congerie mostruosa di tutti questi documenti, un giudizio preciso sull’effetto della guerra nei nostri uomini, appare sempre meno raggiungibile. «E questo giudizio – scrive 1’Austerlitz – dovrebbe apparire di gran lunga più importante di quell’altro che gli scienziati della guerra depositeranno ai piedi della loro speciale dottrina. Perché nel perfezionamento della scienza dei massacri si può comprendere l’impulso a nuove guerre, mentre dal modo in cui la guerra mondiale ha influito sugli uomini e dal modo in cui l’umanità ha reagito, può interamente dipendere la possibilità che questa guerra sia 1’ultima. Se la guerra lasciasse l’umanità in quelle condizioni che troppi documenti ci testimoniano, cioè in condizioni d’entusiasmo per la continuata carneficina, allora ci mancherebbe quell’energia etica e psicologica indispensabile a resistere contro la nuova prossima guerra. Ma se l’umanità fosse invece cosciente degli orrori della guerra, se l’orrore di questo mostro s’attaccasse con cento artigli alle nostre anime, allora l’umanità saprebbe rendere impossibile qualunque prossima ripetizione di guerra mondiale».
Quanto e come la guerra influisca sull’animo del popolo austriaco, si preoccupa di stabilire l’Austerlitz. «Se noi dovessimo dedurre e calcolare l’effetto della guerra da ciò che stampano oggi i giornali austriaci, il nostro popolo apparirebbe il più entusiasta fra tutti i popoli belligeranti. E secondo tali testimonianze, la guerra – indipendentemente dalla sua origine, che fu assai contestata, e dalle sue tendenze, che sono ancora poco note – sarebbe stata accolta e condotta dappertutto con passione. Secondo tali testimonianze, la guerra sarebbe stata salutata come una liberazione, come una esaltazione». Circa la verità di tali sentimenti l’autore dubita forte. I riflessi che dell’anima popolare offrono i giornali austriaci non sono sinceri. La loro pretesa purità di documentazione è piuttosto un inganno. «In mezzo all’atroce convulsione portata dalla guerra mondiale, consideriamo bene qual è lo specchio che ce ne riflette l’immagine, consideriamo attentamente come le testimonianze vennero create, consideriamo con rigore gli elementi estranei ed artificiosi che vennero mischiati alle fonti dell’informazione. L’inchiesta sul modo in cui la guerra austriaca riceve oggi la sua popolarità esteriore è certamente assai difficile ad essere condotta. Ma prima che molti dati di fatto sfuggano alla nostra osservazione sarà opportuno legarli qui alla nostra memoria… (17 linee soppresse dalla censura tedesca)».
«(8 linee soppresse dalla censura tedesca)… in Austria si può stampare col permesso dell’autorità… (2 linee soppresse dalla censura tedesca); la censura non è obbligata a rendere conti… (3 linee soppresse dalla censura tedesca) e si valuterebbe falsamente il suo effetto se lo si ricercasse solo nelle sue famose macchie bianche. Tali traccie ch’essa lascia non sono che un’infima prova della sua attività. Con altro e più considerevole vigore essa dimostra il suo dominio (73 linee soppresse dalla censura tedesca)…
«La censura è, in tutti i paesi, un’istituzione di guerra, sconosciuta durante il periodo di pace. Da ciò ne deriva quel tentennamento, quell’incapacità, quella confusione che si deplora così in Francia come in Italia. I censori viennesi, al contrario, sono i più esperimentati nel loro mestiere e si conducono con una perfezione ammirevole, con una perfezione spiegata solo da una abilità e da un esercizio durati da più d’un decennio… (25 linee soppresse dalla censura tedesca).
«Riflettiamo bene, esaminando gli aspetti della guerra che ci dànno i giornali: nel loro specchio cotidiano niente si riflette che non sia conceduto o voluto dalle eminenze della guerra. È facile allora comprendere il valore di tali testimonianze. A cosiffatta censura bene si accorda il carattere dei giornali austriaci e, specialmente, di quelli viennesi. Non ci si lasci ingannare dalle proteste ch’essi formularono sul principio della guerra contro la censura. Essa si oppose all’eccessivo andazzo delle false notizie sensazionali ed all’affarismo losco della nostra stampa. Ma non soppresse nessuna libera opinione. Per sopprimere una qualche opinione dei nostri giornali bisognerebbe, anzitutto, trovarne. Far violenza ad uno spirito che tenti di farsi comprendere, ecco una continua reale impossibilità per la nostra censura, che non troverà mai nella stampa austriaca un qualche ardimento, una qualche novità spirituale. Soffocare una voce, castrare una intelligenza? Fantasie! Una stampa che non viene mai sequestrata in tempo di pace, è egualmente innocua in tempo di guerra. Essa s’è incatenata da sé stessa. Se la guerra non avesse provvidenzialmente limitata la libertà d’enunciare le opinioni, questi nostri giornali non avrebbero avuto niente da dire, perché non posseggono opinioni… L’orrore del lettore viennese per i proprii giornali è perfettamente ragionevole. Proviene dalla loro inguaribile monotonia. Non solo si rassomigliano come un uovo ad un altro uovo, ma ogni esemplare è la ripetizione volgare degli altri precedenti. Il più grande giornale di Vienna in più che un anno di guerra non scrisse che un vero e proprio articolo, quello noto per definire il nuovo nemico italiano un’accozzaglia di farabutti e di bruti. Ma queste fanfaronate, queste eterne diatribe intessute soltanto sull’ingiuria non fanno che irritare i nervi delle persone di giudizio. Bisogna ammettere che da noi la guerra abbia finito per livellare tutto, anche l’individualità del pubblicista. L’ordine del giorno del feld-maresciallo von Höfer appare come il modello della nostra prosa giornalistica. Ma neppure esso si salva dalla uniformità terribile, dalla vacuità che governa sulla stampa austriaca. In Germania… (1 linea soppressa dalla censura tedesca) c’è almeno un po’di variazione… (2 linee soppresse dalla censura tedesca). Ma a Vienna non vale che quest’unica divisa: «Pestate duro sul nemico». E si pesta con uniformità che è divenuta convenzionale. Non c’è passione; c’è semplicemente un eccesso di stile… (9 linee soppresse dalla censura tedesca).
Ho tradotto cosi un largo brano dell’Austerlitz per rendere la vivacità del suo movimento polemico e la sua singolarissima posizione d’osservatore. Egli si duole che la guerra mondiale non sia tenuta in Austria nel conto di un fatto morale e storico enorme, ma soltanto come un caso passeggiero di cronaca, come un fenomeno che tocchi semplicemente la curiosità umana. La guerra rimuove tutto ciò che lo sviluppo sociale ha prodotto; annulla le antitesi già insormontabili; sradica certi concetti consacrati nei secoli, come la proprietà privata; cancella come pregiudizii quelli che passavano per ideali; sopprime perfino la volontà di vivere sostituendovi il sovrano sprezzo della morte. Ebbene, tutta questa sfolgorante grandezza dell’avvenimento mondiale in Austria non s’è compresa. Così la ragione ragionata come la fantasia più sbrigliata restano perplesse, in Austria. Non chiedono, non cercano dove l’Impero si avvii, dove l’umanità si precipiti, di che cosa sarà fatto il domani. La guerra cambierà soltanto la carta geografica dell’Europa o modificherà altresì le linee fisionomiche dell’umanità? Per chi viva in Austria la tranquillità – ossia l’ignoranza – è assoluta. Nessuno ama indagare. Ciascuno contiene il guazzabuglio dei suoi pensieri nella scatoletta cranica e partecipa alla guerra con quella irresoluta e passiva azione che gli comandano. Null’altro. E gli scrittori continuano a produrre della letteratura effimera e della scienza di velocità.
Tale il quadro dell’Austria che ci dà l’Austerlitz e che io vado rendendo con le frasi stesse dell’autore per non sminuirlo di autorità e di gravezze… C’è una banda di letterati, egli continua, che si sono gettati sulla guerra come si sarebbero gettati su di una nuova tendenza filosofica o su d’una nuova arte di danza. Sfruttano l’occasione. Essa fornisce degli episodii graziosi e drammatici, pittoreschi sempre, nei quali il vapore del sangue e le voci dello strazio si mescolano insieme, confondendo la verità con la leggenda. Non sono mai originali. Ripetono piuttosto la dottrina neo-tedesca, che non è soddisfatta di concepire la guerra come indispensabile per decidere la potenza dei popoli, ma che la raccomanda calorosamente come il vangelo del nuovo pangermanismo. Questi cinici letterati, che fanno del dilettantismo di guerra dal tiepido trinceramento delle loro poltrone, muovono lo sdegno dell’Austerlitz, che riesce ad esprimersi con evidente violenza, pur fra le frequenti parentesi che la censura tedesca apre nel suo dire. La guerra, che è là, egli dice, ci obbliga a riconoscerla, ma non a comprenderla a rovescio. «Per questo io sento l’incantesimo guerriero dei nostri imboscati – Zuhausgebliebenen – come un’ingiuria all’umanità. Costoro scrivono anche dei versi. Ma forse i nostri soldati li cantano? Via, non parliamone. I nostri scarabocchiatori utilizzano invano i litigi dei popoli per trarne dei canti di odio. I nostri binati non cantano. Il falso canto d’odio di Lissauer non ha avuto fortuna sul fronte… Ed è che nonostante tutto, il popolo austriaco ha conservato un buon stomaco; sopporta ciò che uno stomaco più gentile non digerirebbe, ma vomita ciò che è volgare sofisticazione. Ed i nostri soldati non debbono essere fatti per cantare l’odio, ma per vomitarlo insieme con le false canzoni!». Negli articoli dei pubblicisti austriaci, continua l’Austerlitz, si ospita perpetua la collera, con i suoi gradi più alti – il furore, la rabbia. Per l’identità fatale delle loro uniformi osservazioni, i giornalisti non possono infatti differenziarsi che col linguaggio turpiloquente. Ma ve n’hanno di quelli che pretendono di fiutare la guerra dalla loro residenza di Vienna: sono i feuilletonisten, per i quali la guerra appare come una rappresentazione gioiosa. Essi hanno per motivo costante il ritornello: – «Lustig ist’s Soldatenleben!» – Gaia è la vita dei soldati! – E se il feuilletonist andrà sul fronte egli regalerà poi al pubblico una serie di impressioni colorite. Ma è certo che la poca distanza dal fronte, che è poi sempre una grandissima distanza, scompone la sua fantasia. Il fenilletonist, osserva sarcasticamente l’autore, è sempre più interessante, più vario, più ricco d’attrattive quando considera la guerra dal Semmering o da Ischi, che sono le più deliziose e romantiche passeggiate di Vienna… Il feuilletonist, vestito in feldgrau, in grigiocampagna, è la creatura più ibrida che la guerra abbia prodotto in Austria. Il suo entusiasmo non è che una mercanzia da fiera: lo distilla laboriosamente nelle zeitungen da 20 hellern, poi lo mette sotto sale per conservarlo e servirlo di nuovo sotto la forma del libro…
«Se fra di noi la reazione fisica contro la guerra non s’è ancora rivelata, quella spirituale si fa già sentire. Dal fronte ci scrivono che il poema del sangue s’è trasformato nel poema della materia purulenta e fetida. Non vogliono saperne più di leggere i giornali, dove si manipola la menzogna, dove i riflessi della guerra non sono spesso che una caricatura mostruosa. Ma sapremo liberare, a tempo, la nostra guerra dalla ignobile toilette della frase falsa, dalle decorazioni ipocrite degli scarabocchiatori di mestiere? Potremo parlare della guerra, com’è nata, com’è condotta? Rendere l’immagine in uno specchio luminoso e fedele? Questa guerra, che vogliono che noi amiamo, che pretendono che noi veneriamo come una redenzione dello Stato, questa guerra non è che una leggenda nutrita, vigilata, accresciuta, con lo scopo d’ingannarci o di distrarci. Ma noi vogliamo vedere il volto della Medusa, noi intendiamo…».
A questo punto la censura tedesca interviene giudiziosamente e per sempre. Le restanti pagine del libro appaiono d’ora in poi, fino alla firma, tutte bianche. Non c’è da stupirne. Ciò che piuttosto può riempirci di meraviglia si è che siasi potuto stampare in Baviera tutto quanto di grave e di inesorabile abbiamo letto finora.