Il Sole 24 Ore, 1 luglio 2016
L’Ue dà il via libera allo scudo da 150 miliardi per le banche
Beda Romano per Il Sole 24 Ore
Il governo italiano ha ottenuto dalla Commissione europea di poter assicurare garanzie pubbliche alle banche quando queste raccolgono liquidità sul mercato. La scelta è «precauzionale», da utilizzare nel caso di improvvisa carenza di liquidità, ma conferma quanto sia delicata la situazione del settore bancario. Qui a Bratislava, il ministro delle Finanze slovacco Peter Kazimir, che da oggi presiede l’Ecofin per sei mesi, si è detto però fiducioso sulla stabilità finanziaria in Europa.
In un comunicato, l’esecutivo comunitario ha confermato l’autorizzazione concessa all’Italia e giunta nel fine settimana, tre giorni dopo la pubblicazione dei dati sul referendum britannico con il quale il Regno Unito ha deciso di voler lasciare l’Unione. La scelta inglese ha provocato ondate di nervosismo sui mercati finanziari, penalizzando in particolare le banche italiane oberate da sofferenze creditizie. Lo schema autorizzato da Bruxelles è valido per sei mesi, fino alla fine dell’anno.
Le garanzie pubbliche possono essere utilizzate dalle banche per facilitare il rifinanziamento sul mercato quando vi è un’improvvisa carenza di liquidità. Secondo le regole comunitarie, queste garanzie sono una eccezione alle regole sugli aiuti di Stato, e possono essere concesse solo alle banche solvibili. «Lo schema proposto dal governo italiano è stato considerato in linea con le linee-guida sugli aiuti di Stato alle banche», ha precisato un portavoce a Bruxelles.
Le garanzie ammonterebbero a 150 miliardi di euro, secondo voci raccolte a Bruxelles e non smentite. In una breve dichiarazione ieri pomeriggio, l’esecutivo comunitario ha spiegato che la misura è «precauzionale». Un portavoce ha poi precisato: «Non vi è attesa che questo schema debba essere utilizzato». All’apice della crisi finanziaria quasi tutti i paesi godevano di questa facilitazione. Oggi cinque Stati ne stanno usufruendo: oltre all’Italia anche Cipro, il Portogallo, la Polonia e la Grecia.
L’annuncio giunge in un momento molto delicato sui mercati finanziari e nel settore bancario nazionale, mentre il governo italiano sta negoziando con la Commissione europea eventuali operazioni di ricapitalizzazione degli istituti di credito più in difficoltà (si veda il Sole 24 Ore del 29 e 30 giugno). La trattativa è complicata perché iniezioni di denaro pubblico nel capitale delle banche sono previste dalle regole europee solo in circostanze eccezionali e a specifiche condizioni.
La decisione annunciata ieri, spiega Bruxelles, «dimostra come vi siano numerose soluzioni che possono essere usate nel pieno rispetto delle regole comunitarie per rispondere alle turbolenze di mercato». La frase non è anodina. Il negoziato su un pacchetto ampio di misure per sostenere il settore bancario è complicato dal fatto che Roma ha fatto richieste controverse. Non tutti a Bruxelles credono che il momento sia eccezionale, tale da permettere l’uso della flessibilità prevista dalle norme europee.
Interpellato ieri qui a Bratislava, il ministro Kazimir ha negato vi siano rischi alla stabilità finanziaria: «Sopravviveremo a questa situazione (…). Dopo un primo calo, i prezzi sono risaliti». Alla domanda se c’è spazio per rivedere le regole sui requisiti patrimoniali: «La visione italiana sulla direttiva nota con l’acronimo BRRD non è legata solo a Brexit. Sappiamo che è una questione importante per l’Italia. Onestamente, non vedo spazio per ulteriori eccezioni» oltre a quelle già previste dalle regole.
Secondo lo stesso Kazimir – che da presidente dell’Ecofin vuole promuovere alcuni dossier come quelli dell’unione bancaria, della capacità di bilancio della zona euro e del paracadute finanziario al Fondo unico di risoluzione bancaria – la vicenda inglese non avrà «un impatto dannoso sull’economia europea». Dal canto suo, a Bruxelles, il vice presidente della Commissione europea Valdis Dombrovskis ha assicurato che «la priorità immediata è calmare i mercati e ristabilire la fiducia».
Isabella Bufacchi per Il Sole 24 Ore
Il “whatever it takes” per le banche, l’Italia se lo confezionerà in casa disponendo di una dote di garanzie pubbliche fino a 150 miliardi di euro. Sarà uno scudo made-in-Italy che avrà, come per qualsiasi prodotto europeo doc, un’etichettatura ufficiale, cioè il timbro di approvazione della Commissione.
Questo è quanto è emerso ieri, tra indiscrezioni, mezze conferme e quasi smentite. Sul tipo di garanzia pubblica in arrivo, ieri ufficialmente non sono stati diramati dettagli. Dietro le quinte, però, appare evidente che l’Italia abbia deciso in questa partita sulle banche di tenersi tutte le porte aperte fino all’ultimo. E che quello della garanzia è comunque uno strumento in più messo in armeria. L’approccio è quello del pragmatismo: stando a fonti bene informate, è difficile che in questa fase si torni a replicare la formula della garanzia dello Stato già sperimentata sulle obbligazioni bancarie durante la Grande Crisi finanziaria. Quella che farebbe più comodo all’Italia in questo momento è piuttosto una garanzia pubblica per neutralizzare il rischio-banca (che è alto e sale tanto sull’azionario quanto sul fronte dei non-performing loans e dei bond subordinati), non il rischio-spread (che è basso perchè la Bce con i suoi acquisti tende a farlo scendere).
Al picco della crisi del debito sovrano europeo, quando gran parte delle banche dei Paesi core e periferici non riuscivano a rifinanziarsi sul mercato per rimborsare i propri bond in scadenza a causa dei costi di raccolta elevatissimi e insostenibili, la garanzia pubblica venne messa a disposizione sui senior bond di nuova emissione per contenerne i rendimenti. Come noto, tra ottobre 2008 e dicembre 2010, un totale di aiuti di Stato Ue per 4.285 miliardi è stato approvato, ma ne sono stati usati 1.240 suddivisi in garanzie (757), ricapitalizzazioni (303), bad banks (104) e altri tipi di liquidità tramite prestiti (77). Germania, Francia e Gran Bretagna hanno fatto il 60% di questi aiuti concessi in quel periodo da Bruxelles. Nel 2009, la Germania aveva usato garanzie pubbliche per le banche pari a 135 miliardi (4,93% del Pil) contro gli 86 miliardi dell’Italia (5% del Pil).
In quest’epoca di tassi negativi sulle TLTRO e del tasso di rifinanziamento principale allo 0 per cento e con lo spread decennale Italia/Germania sotto i 150 punti, una garanzia pubblica per contenere i costi delle banche nel rifinanziamento dei bond bancari in scadenza non avrebbe granchè senso. Potrebbe servire in extremis nel caso si tornasse allo spread del 2011-2012 ma questo la Bce con il suo programma di acquisti PSPP non lo consentirà. Lo strumento della garanzia pubblica può essere invece utilizzato in maniera molto più efficace e pragmatica sul fronte delle ricapitalizzazioni oppure dello smaltimento della montagna dei non-performing loans, due finalità che possono riconciliarsi sotto un unico tetto: quello dell’attuale fondo Atlante oppure di un Atlante 2. Le garanzie tuttavia non verrebbero riproposte nella versione delle Gacs (garanzie per la cartolarizzazione dei crediti in sofferenza che non funzionano sulle tranche senior).
Stando a fonti bene informate, il Governo avrebbe illustrato alla Commissione la possibilità di creare un maxi-fondo, una società veicolo, che avrebbe (come l’attuale Atlante) la mission di intervenire a sostegno delle banche, sia negli aumenti di capitale sia nella vendita dei NPLs. La dota delle garanzie pubbliche fino a 150 miliardi dovrebbe consentire a questo fondo di ridurre notevolmente il rischio-banca e quindi di diventare più attraente per attrarre investitori istituzionali nel capitale del fondo stesso: tra questi, la Cdp ma idealmente anche le Cdp di altri Paesi come la Kfw e la Cdc francese. Al fondo sarebbero libere di attingere tutte le banche non in dissesto ma con problemi di accesso ai mercati (equity e NPLs) a prezzi sostenibili e adeguati. Le banche solide e senza problemi sul mercato sarebbero lasciate libere di restare fuori da questa mischia. Il maxi-fondo, se dovesse essere creato, assolverebbe il ruolo deterrente dell’ESM: un paracadute da aprirsi solo in caso di necessità.