ItaliaOggi, 1 luglio 2016
Pagheremo per l’informazione ansiogena, per le parole al vento dei filosofi e per la supercazzola allarmista dei politici. Ma di certo non per Brexit
Siamo sopravvissuti alla caduta dell’impero romano, a Gengis Khan, alla peste nera e a ben due guerre mondiali (l’ultima delle quali è finita solo quando due bombe atomiche hanno incenerito Hiroshima e Nagasaki). Siamo sopravvissuti al Gulag, ad Auschwitz e a Cernobyl’. Siamo sopravvissuti a Pol Pot e all’Hiv. Qualche decina di milioni d’anni fa, i primi mammiferi, nostri remoti progenitori, sono sopravvissuti all’impatto del meteorite che ha cancellato i grandi rettili dalla faccia del pianeta.
Dunque è probabile che sopravviveremo anche all’uscita dell’Inghilterra dall’Unione europea (benché non manchino, in giro per talk show, i profeti di sventura, convinti che faremo la fine dei dinosauri, spazzati via dall’implosione dell’Europa, e che ce lo saremo meritato). Non solo siamo perfettamente in grado di sopravvivere, qualora si rendesse necessario, alla fine dell’Unione europea, ma con qualche piccolo sacrificio (per esempio adattandoci a mangiare soltanto banane dalla curvatura approvata dai legislatori europei, banane cioè di lunghezza minima e grado minimo fissati rispettivamente a 14 cm e 27 mm siamo in grado di sopravvivere anche all’Unione stessa, nel caso dovesse farcela a superare lo stato di crisi (che dura, ricordiamolo, dal giorno della sua proclamazione).
Siamo una specie con la pelle dura. Ne abbiamo viste, fatte e scapolate tante. È difficile, quindi, che «la fibrillazione dei mercati», seguita al «Brexit», porti gli europei e forse pure l’umanità all’estinzione, come si è sentito dire nei giorni scorsi, anche da persone che normalmente ragionano sobriamente. C’è stato persino chi, la mattina dopo il referendum, ha sostenuto con voce cupa che alla lunga – una farfalla sbatte le ali nelle periferie inglesi e via, un’altra Atlantide s’inabissa nel mare – «potrebbe esserci anche una guerra, sì, una guerra», esattamente come ai tempi di Giulio Cesare, il primo dei grandi europeisti: i buoni (e i civilizzati) sotto il Vallo Adriano, i «babbari» (e i cattivi) sopra.
Qualcosa d’apocalittico, per la verità, sta avvenendo davvero, e lo si capisce chiaramente quando l’inviato di Omnibus o di qualche altro talk show ferma per strada il primo che passa e gli chiede cosa pensa, «dica, dica», dell’uscita dell’Inghilterra dall’Unione.
Per lo più tutti rispondono a tono, dicendo chegl’inglesi hanno fatto male oppure bene a far fagotto, e fin qui niente da dire, salvo che non tutti i gusti sono alla menta. Ma ecco saltar fuori anche il tizio qualunque, fermato al semaforo, o mentre sta uscendo dal supermercato, che afferra il microfono e tuona con espressione stravolta che su questioni così importanti le persone qualunque non dovrebbero poter votare (se non per dare ragione a lui, il tizio qualunque, di regola un europeista hard, che sta parlando adesso).
Troppo ignoranti, dice il tizio qualunque, senza azzeccare un congiuntivo, le persone qualunque non sono in grado d’esprimere un voto consapevole. Annuisce al suo turno, sempre nello stesso talk show, il filosofo qualunque Umberto Galimberti, che liquida come «persone volgari» i politici non sgradevoli in sé (molti lo sono) ma a lui sgraditi.
Non so se ci sarà, in futuro, un nuovo Evento paragonabile all’impatto del meteorite con la Terra dominata dai tirannosauri e dagli pterodattili. Temo però l’Evento socioculturale apocalittico. Se pagheremo qualcosa, in futuro, non sarà l’uscita della Perfida Albione dall’Unione europea, e nemmeno quel che ne seguirà, qualora ne dovesse seguire qualcosa. Pagheremo, se pagheremo, per l’informazione ansiogena, per le parole al vento dei filosofi e dei tizi qualunque, per la supercazzola allarmista dei politici.