La Stampa, 1 luglio 2016
Da Milano a Torino, ma quanto sono belli i giardini delle carceri
Può sembrare strano che un giardino nasca in un carcere, tra sbarre, guardie e cemento, in un luogo così sofferto e sofferente, così inevitabilmente desolato e lontano dal bucolico idillio che tutti noi ci aspetteremmo. Eppure è proprio lì che ce ne sarebbe più bisogno, ché da sempre gli uomini hanno nella cura delle piante trovato un momento di concentrazione su se stessi e (facile e bonaria ironia...) di evasione dalle difficoltà della vita. Disciplina e precisione, pazienza e responsabilità, generosità e condivisione: questo e molto altro si può apprendere dal lavoro in giardino. Soprattutto imparare a vedere ed apprezzare la bellezza che ci circonda e a prendersene cura, a proteggerla. E, insieme, a proteggersi...
L’esempio di Mandela
Ben lo sapeva Nelson Mandela, che nella lunga prigionia a Robben Island, al largo di Città del Capo, trasformò un arido pezzo di terra in un piccolo orto ricco di pomodori, peperoncini e cipolle. Scriveva: «L’orto era una delle poche cose che in carcere era possibile controllare. Piantare un seme, vederlo crescere e raccoglierne i frutti era una cosa che dava una sensazione semplice ma durevole. La sensazione di essere il custode di quel piccolo pezzo di terra mi dava un lieve sentore di libertà». E di speranza... Purtroppo in Italia i giardini nelle carceri sono ancora pochissimi: la loro è soprattutto una tradizione statunitense e già negli Anni 20 il penitenziario di Sing Sing ospitava una grande serra, aiuole curate e una bellissima voliera, costruita dal detenuto Charles Chapin, conosciuto anche come «the rose man of Sing Sing», perché di rose ne piantò laggiù più di tremila. Ma oggi è forse il grande carcere di Rikers Island, a New York, per altri versi assai discusso e detestabile, a dare l’esempio: giardini, serre, colombaie, bat houses e un vivaio che rifornisce buona parte delle scuole e dei parchi di Manhattan.
Da noi, e giustamente, il riferimento per eccellenza è Milano, con il suo celebre vivaio di Cascina Bollate, ma anche a Torino esiste ormai qualcosa di simile, nella casa circondariale Lorusso e Cutugno, ex Le Vallette: un vivaio che è al contempo anche un giardino, un piccolo frutteto e un orto. Nato negli Anni Settanta come campo di prova per un corso di giardinaggio all’interno del carcere, è oggi una realtà ben più strutturata, che ha saputo unire con successo didattica e, perché no, anche mercato. Una realtà gestita dalla Casa di Carità Arti e Mestieri e dalla cooperativa sociale Ecosol, grazie ai finanziamenti prima della Cassa delle Ammende e poi della Regione Piemonte. Quattro serre dove le piante vengono riprodotte e cresciute, un tunnel per le aromatiche, con rarità come il finto incenso (Plectranthus), il rabarbaro e l’erba di San Pietro, un piccolo ma efficiente orto e una grande zona per il compost.
E poi la scuola di giardinaggio, alla quale accedono ogni anno venti detenuti selezionati, cinque giorni su sette, teoria la mattina e pratica il pomeriggio, con tre studenti che lavorano al vivaio a tempo pieno e regolarmente compensati. In modo che, una volta scontata la pena, il reinserimento sia un poco più facile, come giardinieri in proprio o per la stessa Ecosol, nei suoi diversi lavori nel verde pubblico, Mandria e Stupinigi in testa. Certo le difficoltà non sono poche: le risorse non abbondano, l’irrigazione è quasi tutta a mano (fatto certamente laborioso e all’apparenza un inutile dispendio di tempo, ma che in realtà aiuta, tramite la diretta conoscenza delle piante, al buon esito del compito giardiniero), il personale è poco e le detenute donne (che non possono mai incontrarsi con gli uomini) sono per ora escluse dall’attività. Per fortuna si è da poco provato lo zafferano, coltivato sì dagli uomini, ma poi lavorato in separata sede dalle donne, nel delicato compito di selezione del pistillo.
Le piante del vivaio del carcere di Torino sono ormai sempre più conosciute ed apprezzate: da un po’ di anni basta venire alla mostra di Masino per vederle e acquistarle, ortensie e alstroemerie in primavera, ciclamini e crisantemi d’autunno. Con il successo, e con il tempo, ci si augura l’apertura al lavoro femminile e un sempre più articolato ed ampio catalogo di piante coltivate...