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 2016  luglio 01 Venerdì calendario

Mustier, un altro francese al comando. Quando c’è da risanare e tagliare teste i manager d’Oltralpe regalano grandi soddisfazioni e sanno che con gli italiani ci si guadagna sempre

È l’ennesimo manager francese a sbarcare alla guida di un colosso made in Italy: Jean-Pierre Mustier, diventato amministratore delegato di UniCredit. Pochi mesi fa, in marzo, un’altra vecchia conoscenza del management transalpino, Philippe Donnet (come Mustier, puro prodotto delle grandes écoles di origini napoleoniche, tutti fatti con lo stampino: seri, sobri, all’apparenza efficienti) era balzato in cima a Generali. 
Anche se in quel caso, a differenza di Mustier, c’era dietro la spinta di un investitore francese pure lui, il solito Vincent Bolloré, il più italiano dei miliardari d’Oltralpe, secondo azionista di Mediobanca (che controlla il Leone di Trieste) e il primo, mediante Vivendi, di Telecom Italia.
Proprio lui, lo sfuggente Vincent, che non si sa mai se i soldi ce li metta per fare un investimento industriale o se per vendere poi al miglior offerente, a caccia di plusvalenze e basta, a fine aprile all’assemblea degli azionisti di Vivendi, presentando la sua nuova alleanza con Mediaset, aveva detto che «l’Italia è diventata migliore della Francia: non ci sono neanche più gli scioperi». In realtà, non si capiva se volesse dire che l’Italia fosse davvero migliorata o se la Francia fosse scesa proprio in basso. 
A introdurlo nel salottino buono del capitalismo patrio, Mediobanca, già negli anni Novanta fu Antoine Bernheim, banchiere d’affari di Lazard, che era una volpe, già uno degli amministratori di Generali agli inizi degli anni Settanta. Deceduto nel 2012 (ormai in rotta con Bolloré), Bernheim è stato il pioniere di tutti questi condottieri francesi. Poco prima di morire, gli chiesero cosa pensasse del management italiano. E, pur elogiando Della Valle, Marchionne e lo stesso Berlusconi, disse che era malato di «mediocrazia». Non la meritocrazia. Ma la mediocrità. Solo mediocrità.
Perché tanti francesi a fare affari in Italia? I manager come Mustier sono ricercati per le loro competenze. Soprattutto nel campo finanziario, bancario e assicurativo le loro capacità sono indubbie. Poi, quando c’è da risanare e tagliare teste (e Unicredit ne ha terribilmente bisogno), il manager francese riserva sempre grandi soddisfazioni. 
Quanto ai gruppi che fanno shopping, l’Italia offre spesso pezzi pregiati a prezzi stracciati. Ne sanno qualcosa i colossi del lusso Lvmh di Bernard Arnault e Kering dei Pinault (oggi è il figlio del mitico François ad avere le redini in mano, François-Henri Pinault). Tra gli altri, il primo si è preso Fendi e Bulgari e il secondo Gucci. Hanno rilanciato questi marchi e ci hanno guadagnato. Lo stesso è successo con Bnl, strappata nel 2006 agli spagnoli del Bilbao da Bnp Paribas. O con Cariparma e Friuladria, nell’orbita di Crédit Agricole. Acquisendo Parmalat nel 2011, ci ha guadagnato molto anche la misteriosa famiglia Besnier di Lactalis, che ha approfittato del risanamento dell’azienda italiana per di più senza fare tutti gli investimenti promessi. Quanto a Edf, ci mise una decina d’anni prima di fagocitare Edison, che si è rivelata una gallina dalle uova d’oro (ma ora sembra volersene liberare per fare cassa).
Bolloré, comunque, resta il più attivo in Italia. Anche lui ci ha sempre guadagnato, sebbene sul fronte di Telecom Italia, dopo il tracollo dell’azione negli ultimi mesi, il nostro stia perdendo rispetto all’investimento iniziale. 
Come Xavier Niel: ha investito 1,7 miliardi di euro per opzioni che gli permetteranno di acquisire il 15,1% del capitale. Ma anche lui è sotto. Bisogna aspettare. Perché alla fine, no problem, con gli italiani ci si guadagna sempre.