La Stampa, 1 luglio 2016
Debiti marci, un fardello da 340 miliardi che pesa sulle banche italiane
Sono un fardello che pesa da tempo sulle banche italiane. Sono mutui non più esigibili, prestiti incagliati, fidi andati a male, carte revolving non più ripianate. A quanto ammontano questi crediti? Una delle cifre circolate in questi giorni riferisce di un importo lordo di 340 miliardi di euro per gli Npl (Non performing loans), vale a dire la totalità dei debiti marci (si dividono in sofferenze, incagli, debiti ristrutturati e debiti scaduti). È un’enormità ma considerando gli accantonamenti, l’ammontare degli Npl in pancia alle banche scende a circa 200 miliardi, dei quali solo una parte è in sofferenza, pari a 84 miliardi. Va detto che le sofferenze sono la parte più pericolosa dei debiti marci perché è quella con percentuali di recupero più basse, spesso vicine a zero. Per dare qualche numero, la malandata Mps oggi totalizza 47 miliardi di Npl lordi (27 miliardi sono le sofferenze lorde, quelle nette scendono a 10 miliardi). Unicredit ha Npl lordi per 39 miliardi e Intesa Sanpaolo ha Npl lordi per 62 miliardi, di cui 33 miliardi netti e ha fatto accantonamenti già spesati per circa 30 miliardi.
I numeri preoccupano. Ora il maxi-scudo da 150 miliardi dovrà ridare un po’ di ossigeno alle banche italiane finite nel mirino delle vendite anche per le sofferenze che si trascinano dietro. Da inizio anno hanno perso 60 miliardi di capitalizzazione in Borsa. Due big come Unicredit e Intesa hanno limato i valori di mercato di 35 miliardi. Il tracollo è stato rapido e intenso con cali fino al 70% in meno di sei mesi. Segno che gli investitori hanno preso di mira le fragilità del sistema italiano. «La garanzia da 150 miliardi è il classico bazooka annunciato che si spera di non dover usare mai» commenta Piergiacomo Braganti di Banca Syz. Va detto che anche l’Ue ha sottolineato che l’Italia ha chiesto la misura «per ragioni precauzionali» e «che non c’è l’aspettativa che emerga la necessità» di usare lo scudo.
È una garanzia pubblica che aiuterà a sostenere il sistema bancario. Interverrà nel momento in cui ci sarà un dissesto e per garantire eventuali aumenti di capitale. Di sicuro ridarà più tranquillità e fiducia ai risparmiatori. Tuttavia il nodo vero sono gli investitori, quelli che hanno venduto i titoli delle banche italiane in questi mesi e che non hanno sottoscritto gli aumenti di capitale di Veneto Banca e Popolare Vicenza. Riconquistare la fiducia di chi muove investimenti di grandi fondi e assicurazioni sarà un’operazione più difficile, soprattutto se il volume degli Npl non verrà sanato.
C’è poi il nodo delle ricapitalizzazioni. «Proprio per via delle loro fragilità, molte banche italiane potrebbero aver bisogno di aumentare il capitale» spiega Braganti. Secondo le stime degli analisti, UniCredit potrebbe varare un nuovo aumento di capitale da 5-7 miliardi. Anche a Carige potrebbero servire almeno 500 milioni. Pure a Siena potrebbe rendersi necessaria una nuova iniezione di liquidità, questo se la banca di Siena non dovesse riuscire a superare gli stress test di fine luglio. «Fondamentalmente è un’operazione a garanzia – dice Vincenzo Longo, strategist di Ig -. Non è un’azione incisiva volta a ridurre il problema delle sofferenze che pesano sulle banche italiane. Se dovesse emergere un’ipotesi di acquisto allora la portata di questa misura cambierebbe».