la Repubblica, 1 luglio 2016
Boris Johnson non si candida più. Ora la corsa è tra Theresa May e il ministro Michael Gove
«Anche tu, Bruto!». Risponde con la più famosa massima latina, Stanley Johnson, al cronista che gli chiede perché suo figlio Boris, il vincitore del referendum, abbia deciso all’ultimo momento di non candidarsi a primo ministro: la bomba che ieri ha sconvolto i palazzi di Westminster. Un complotto con l’ex-sindaco di Londra nei panni di Giulio Cesare e il ministro della Giustizia Michael Gove in quelli del traditore Bruto. «Una pugnalata alla schiena», per la Bbc.«Una pugnalata al petto», precisa Nigel Evans, deputato dei Tories, alludendo alla spudoratezza del colpo. Preceduto da una “fuga di email” in cui la moglie di Gove, “lady Macbeth” per chi continua la metafora shakespeariana, esprimeva dubbi, suoi e dei magnati dei tabloid di destra Rupert Murdoch e Paul Dacre, su sincerità e capacità del biondo Boris; e preannunciato da una telefonata con la quale Gove medesimo comunica a Johnson l’intenzione di candidarsi lui a Downing street, cinque minuti prima di scendere in campo. «Considerate le circostanze, sono giunto alla conclusione che non posso essere io il nuovo leader conservatore», dice mezz’ora dopo l’ex-sindaco ai propri fan in lacrime, consapevole che la sua candidatura non ha più appoggi sufficienti per prevalere. Dietro la congiura ci sarebbe la tardiva constatazione da parte del ministro della Giustizia che il suo alleato nella campagna per portare la Gran Bretagna fuori dall’Europa non ha la stoffa «per unire il paese e formare la squadra» di un futuro governo. Ma non è escluso che il mandante dell’operazione, come affermano altre fonti, sia David Cameron, per mettere fuori gioco l’eterno rivale che, schierandosi per Brexit, ha sancito la fine della sua carriera. “La vendetta”, commentano i giornali inglesi, “è un piatto servito freddo”. Sebbene, in questo caso, fosse ancora tiepido.Se di tradimento si tratta, per il ministro Gove non è il primo. Quando in primavera annunciò che avrebbe appoggiato Brexit, abbandonando Cameron, suo amico personale oltre che leader del suo partito, disse: «È la decisione più difficile della mia vita». Quella di ieri, in confronto, sarà stata facile: con Johnson non aveva stretti legami. Formavano una strana coppia, l’algido responsabile della Giustizia e il clownesco ex-primo cittadino della capitale, ma anche per questo ha funzionato, riuscendo a vendere una bufala colossale, l’uscita dalla Ue come ingresso nella terra del bengodi, al 52 per cento dei votanti. A quel punto, il cammino pareva segnato: Johnson sarebbe diventato premier, come sognava, al posto del dimissionario Cameron, dando a Gove il posto di ministro degli Esteri e di negoziatore nella trattativa sui futuri rapporti del Regno Unito con la Ue.Senonché lunedì esce sul Daily Telegraph la rubrica settimanale dell’ex-sindaco, la prima dopo il referendum. Un articolo in cui Johnson cerca di tranquillizzare: la Gran Bretagna resta in Europa, Brexit non muterà niente in materia di commercio o immigrati, “l’unico” cambiamento sarà che Londra si libererà dalle leggi Ue e terrà per sé i soldi che dà all’Unione. Un po’ poco, per chi aspetta l’Independence Day. A Gove, dicono i bene informati, viene un sospetto: Boris voleva il referendum solo per diventare premier e di Brexit non gliene importa niente (molti l’hanno sempre creduto). Preoccupazione analoga sorge forse in Murdoch e Dacre, editori eurofobici del Sun e del Mail, burattinai dietro le quinte della politica. In più, quando Gove chiede a Johnson che poltrona gli darà nel suo governo, pare che l’altro risponda: «È presto per distribuirle». Boris è bravo solo a fare campagna elettorale ma senza «la capacità organizzativa e manageriale» per guidare un esecutivo, ragiona Gove, decidendo allora di candidarsi a premier lui stesso. Aveva giurato pubblicamente che non gli interessava: ci ha ripensato, sostiene, perché ci vorrà pure un candidato del fronte Brexit, se Boris non è all’altezza, per contrastare l’altro aspirante a Downing street, la ministra degli Interni Theresa May, che era per Remain.Ma anche la ministra potrebbe essere fra i congiurati. Pure lei, nella conferenza stampa di giovedì mattina con cui formalizza la sua candidatura, tira una staffilata a Johnson: «L’unica volta che ha negoziato con la Germania (quando era sindaco di Londra,ndr.), è tornato a casa con tre autobotti spara- acqua». Poi, nel tono di chi si sente già a Downing street, aggiunge: «Brexit è Brexit, non si torna indietro, non ci saranno un secondo referendum o elezioni anticipate, tratteremo soltanto la permanenza nel mercato comune ma riprendendo il controllo delle frontiere». Un messaggio più “brexitiano” dell’articolo di Johnson sul Telegraph. Circolano indiscrezioni, in effetti, su un accordo tra May e Gove dopo o durante le primarie: lei premier e lui vice. Portando con sé l’attuale ministro del Tesoro George Osborne, il messaggero di Cameron – secondo alcuni – per convincere Gove a liquidare Johnson. Trama troppo fantasiosa? Come che sia, “anche tu, Bruto” potrebbe diventare lo slogan del governo conservatore in procinto di sorgere dalle ceneri di quello Cameron: in fondo quasi identico al precedente, tranne per il premier. Non per nulla siamo nel 400esimo anniversario della morte di Shakespeare: «Il mondo è un palcoscenico, in cui ognuno deve recitare la sua parte», commenterebbe il Bardo, se vedesse i suoi discendenti.