La Stampa, 29 giugno 2016
Le regole di Conte
Antonio Conte non li costringe, ma li convince: «Fate questi movimenti e andrete in porta, ve lo dico prima», spiega davanti al video e urla sul campo. I giocatori sono così: «Ti seguono perché funziona, non solo perché glielo dici». La vittoria rende il messaggio potente, e l’adesione al progetto totalizzante. Dalla Juve alla Nazionale, così si costruiscono «macchine da guerra». Se prima c’erano macerie (sarà così pure al Chelsea...), l’avventura comincia spesso così: «Volete continuare a fare schifo? Siete meglio di questo». Ma non è solo aspra abnegazione e feroce motivazione: «Se urlassi e basta, farei il domatore di leoni, non l’allenatore», scherzò lui una volta, ormai stufo dei luoghi comuni. Conte, appunto, allena, trasmettendo passione e organizzazione, per dirla con Arrigo Sacchi, uno dei suoi docenti. Capita così che la Juve, due volte settima, vinca lo scudetto senza perdere una partita, e che Pellé, non più titolare al Southampton, ed Eder, non ancora titolare all’Inter, facciano meglio di Iniesta, Fabregas e David Silva. Appallottolando ogni pronostico.
Occhio agli sms
S’inizia pure dall’insostenibile leggerezza del messaggio sul telefonino: «Ore 18 in sala video». Ieri lo staff del ct era appena uscito dal Courtyard Marriott di Montpellier, casa Italia, che già doveva salutare il caldo sole del pomeriggio e la brezza del mare, dieci chilometri più in là: «Addio alla gita». E addio all’euforia per la vittoria sulla Spagna, c’era da pianificare Italia-Germania, e pazienza se in agenda c’era mezza giornata libera. Spesso funziona così pure con i giocatori, solo che l’sms arriva ai confini della notte: «Allenamento domattina alle 10». Con lui, meglio non prendere impegni. Meno esplicito del codice etico di Prandelli, un po’ più efficace. E se qualcuno sgarra, è fuori. Decide Conte: «Sono uno molto esigente: ogni anno metto in preventivo il fatto di dover litigare con due, tre calciatori, e magari di perderli. Però ne guadagni 20, perché capiscono che devono fare il loro dovere. Così riconoscono il capo». Ai tempi della Juve, Pogba arrivò in ritardo di cinque minuti a due allenamenti, e la domenica seguente si vide la partita dal divano: non convocato. Come pure erano rimasti a lungo in esilio Insigne e Ogbonna: l’uno per forfait all’azzurro dopo un tragico infortunio, l’altro anche per una battuta sui giornali («Il ct mica avrà perso il mio numero?»). O dai tutto, o niente. Per la squadra, s’intende: «Il noi al posto dell’io».
Ostinato e guerriero
Se già la tripletta di scudetti juventini fu un’impresa, con l’Italia stiamo andando oltre, perché al posto delle lezioni quotidiane s’è dovuto inventare corsi full-immersion: lui che era, ed è, allenatore e non selezionatore. Invece, di una nazionale ha fatto una squadra. Ispirata da un’idea di gioco e da un’esecuzione collettiva e guerriera. Dopodiché, intorno ci vuole pazienza e clemenza, perché Conte è ostinato e spiritato, immanente e invadente: «Sono uno che non le manda a dire». Ma soffia pure quella magia visionaria che fa credere a giocatori normali di poter essere eccezionali: e alla fine, funziona.