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 2016  giugno 29 Mercoledì calendario

«Sottovalutò l’allarme alluvione». Chiesti 6 anni per l’ex sindaco di Genova Vincenzi

«Sbagliarono tutto, sbagliarono tutti e truccarono le carte per salvarsi delle inchieste». C’è un magistrato che dopo quattro anni e mezzo prova a chiudere una delle ferite mai rimarginate a Genova, l’alluvione del 4 novembre 2011 che uccise sei persone fra le quali due bambine. E lo fa chiedendo che l’ex sindaco Marta Vincenzi paghi con sei anni e un mese di carcere. L’addebito più duro è quasi un contrappasso, per lei che faceva l’insegnante: «Non fece chiudere le scuole – insiste il pubblico ministero – nonostante le previsioni fossero spaventose, e cinque vittime su sei persero la vita perché stavano andando a prendere un parente appena terminate le lezioni». Di più: sempre agli occhi dell’accusa Vincenzi «sapeva» che alcuni sottoposti provarono a falsificare la ricostruzione dello scempio, facendo risultare la piena in anticipo di mezz’ora e certificando controlli mai avvenuti, per mettersi al riparo dalle inchieste giudiziarie. E la proposta di pena è così alta proprio perché incrocia la colpa dell’omicidio colposo e il dolo dei falsi: «Fui eletta – dice oggi Vincenzi – per le mie caratteristiche politiche e non perché ero un tecnico della protezione civile. Spero almeno che l’esito di questo processo permetta di circoscrivere definitivamente il perimetro delle responsabilità d’un sindaco» Il pm Luca Scorza Azzarà chiede che con lei vadano in galera l’allora assessore alla Protezione civile, Francesco Scidone (rischia cinque anni e undici mesi e ai tempi faceva politica per l’Italia dei valori) e i dirigenti comunali Gianfranco Delponte e Pierpaolo Cha (richiesta di 4 anni e 7 mesi) e Sandro Gambelli (4 anni e un mese): se le condanne diventassero definitive, tutti gli imputati rischiano d’essere arrestati.
 Dice l’accusa che quel giorno c’erano loro, nella sala operativa del Matitone, palazzo simbolo nel bene e nel male di Genova. E sempre loro, deputati a prendere le decisioni più importanti, non chiusero la strada accanto al torrente Fereggiano nonostante i meteorologi li avessero messi in guardia. Il corso d’acqua ruppe gli argini, la strada in discesa fece il resto e morirono tutte le persone che provarono a rifugiarsi nello stesso portone a valle dell’esondazione: Shiprese Djala, una mamma albanese di 29 anni che aveva con sé le figlie Gioia (8 anni), appena prelevata da scuola, e Gianissa di 10 mesi; Serena Costa (18 anni), che stava andando a recuperare suo fratello fuori da un istituto tecnico, Angela Chiaramonte (40) che aveva ricevuto una telefonata dal figlio bloccato in classe ed Evelina Pietranera, cinquantenne, che stava rientrando a casa dopo aver chiuso la sua edicola. «Intravediamo un po’ di giustizia, – dice Flamur Djala, l’uomo che quel giorno perse la moglie e due figlie e non ha mancato un’udienza -, ma chissà se qualcuno pagherà davvero».