la Repubblica, 28 giugno 2016
Vaccini, la verità giudiziaria e quella scientifica. Un altro capitolo del pessimo rapporto tra medicina e tribunali
Una verità giudiziaria diversa da quella scientifica. Le storie si ripetono.
Ieri abbiamo registrato una sentenza del Tar siciliano che ha imposto il risarcimento di un ragazzo autistico, dando seguito a una sentenza del Tribunale Civile di Palermo che collegava la sua malattia al vaccino trivalente. Ma è solo l’ultima di una lunga serie, spesso con conseguenze disastrose per i malati; basti ricordare il caso Stamina tra tutti. Tanto che oggi scende in campo il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, Walter Ricciardi, con una proposta concreta: «Il problema sono i consulenti scelti dai giudici, per questo proponiamo alla magistratura di collaborare. Siamo pronti a mettere le nostre competenze al servizio dei giudici; do già adesso al ministero della Giustizia la disponibilità a lavorare insieme, perché si affermi la realtà scientifica, che per noi è la cosa più importante». Ricciardi si appella a un’esperienza virtuosa: a Trani la procura ha coinvolto il capo del dipartimento di malattie infettive dell’Iss. E l’inchiesta aperta dal Pm pugliese dopo la segnalazione dei genitori di due ragazzi è stata archiviata da pochi giorni.
I vaccini sono oggi la punta di diamante dello scontro, ma le cronache del pessimo rapporto tra scienza medica e giustizia nel nostro Paese vanno indietro nel tempo. Su fino al 16 dicembre del 1997 quando il pretore di Maglie, Carlo Madaro, decise che il Ssn doveva rimborsare la cura Di Bella, anche se non era stata mai stata provata e la comunità scientifica era certa che non avesse nessun potere anticancro. Ci vollero anni e una sperimentazione che impiegò il gotha dell’oncologia italiana prima che il mix di farmaci proposto dal professore modenese fosse bocciato, ma nel frattempo diversi giudici ne imposero la somministrazione. Così come è accaduto solo due anni fa col cocktail inventato da Stamina e somministrato presso gli Spedali Civili di Brescia. L’infusione di cellule proposta dall’esperto di marketing Davide Vannoni come quello del Lazio, dalla procura di Torino, e da decine di giudici civili. Tanto che quando l’Aifa e il ministero della Salute, con il ministro Beatrice Lorenzin, hanno imposto di fermare la somministrazione, oltre 500 famiglie hanno fatto ricorso ai giudici per poter avere accesso alle infusioni. E 164 di loro hanno trovato un giudice del lavoro che ha obbligato l’ospedale pubblico a farlo. «Una giustizia che non si comporta in modo coerente perde credibilità – attacca Silvio Garattini del Mario Negri di Milano.
Esaurita, con Vannoni uscito di scena (ha scampato la condanna per truffa con la prescrizione), l’onda di Stamina, oggi gli obiettivi sono tutti puntati sui vaccini. E sulla paura alimentata da Andrew Wakefiel che nel 1986 pubblicò su Lancet uno studio nel quale stabiliva una correlazione tra il vaccino contro il morbillo (contenuto nella trivalente e nell’esavalente) e l’autismo. Si è poi scoperto che lo studio era truccato e lui aveva grandi interessi commerciali in un altro vaccino, tanto che l’ordine dei medici inglese lo ha radiato e Lancet ha ritirato il lavoro. Ma la paura resta e molti genitori scelgono per questo di non vaccinare i figli. Anche se, conclude Garattini: «sulla relazione tra vaccini e autismo non c’è alcuna discussione: non esistono legami».
Eppure, il caso siciliano ha dei precedenti. A Milano nel 2014 il giudice di primo grado ha dato il via libera al vitalizio per la famiglia di un ragazzo malato, decisione che sarà valutata tra alcuni mesi in Appello.
Proprio in secondo grado, a Bologna nel 2015, è stata invece ribaltata la sentenza di un giudice di Rimini che aveva riconosciuto un risarcimento. «Non so come mai siamo arrivati a questo punto – dice Roberto Burioni, immunologo dell’Università Vita- Salute – Chiudo il mio corso facendo vedere agli studenti un lavoro scientifico che dimostra chiaramente che non c’è rapporto tra autismo e vaccinazioni. Poi faccio vedere la sentenza di un giudice che sostiene l’opposto. Il fatto è che la malattia spesso viene diagnosticata in età vicina a quella della vaccinazione, e molti genitori cascano nella rete di alcuni avvoltoi, anche medici, che non solo accusano l’inoculazione di aver fatto ammalare il ragazzo, ma propongono anche di assisterli nel procedimento legale per avere un risarcimento. Oppure suggeriscono una cura alternativa». La comunità scientifica perplessa sussurra che i giudici dovrebbero difendere le famiglie da questo genere di profittatori. Non alimentarne i commerci.