la Repubblica, 26 giugno 2016
Quelle sprezzanti considerazioni sulla generazione Erasmus
La distanza tra chi vive il tempo globale – non importa se per fare soldi in banca o per aiutare i rifugiati, come Jo Cox – e chi è un ricettore passivo della globalizzazione, è troppo ampia”. Traggo la frase dal blog del giovane economista Marco Simoni e la trovo una perfetta fotografia del momento. Da quella distanza è nata Brexit; da quella distanza germinano il rancore e lo spaesamento di chi dalla globalizzazione si sente escluso o minacciato. Il problema è che Brexit (come tutte o quasi le pulsioni nazional-populiste) non solo non combatte questa esclusione, ma la impugna e la esalta. Fino a che è esistita una sinistra viva e non sopravvissuta, riformisti o rivoluzionari che fossero i suoi modi, l’organizzazione degli esclusi pretendeva inclusione, semmai sovvertendo i rapporti sociali, giammai chiamandosene fuori. Quello che fa paura, nell’humor nero dei nostri tempi, è una sorta di gongolante estraneità. Si leggono in rete sprezzanti considerazioni sulla generazione Erasmus (“figli dei ricchi”) colpita al cuore dal voto inglese, e si percepisce un mondo capovolto. Il sogno degli operai comunisti era mandare i figli all’università. Qual è il sogno populista? Considerare Erasmus (quattro milioni di borse di studio previste tra il 2014 e il 2020) “roba da ricchi”?