Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  giugno 26 Domenica calendario

Quelle sprezzanti considerazioni sulla generazione Erasmus

La distanza tra chi vive il tempo globale – non importa se per fare soldi in banca o per aiutare i rifugiati, come Jo Cox – e chi è un ricettore passivo della globalizzazione, è troppo ampia”. Traggo la frase dal blog del giovane economista Marco Simoni e la trovo una perfetta fotografia del momento. Da quella distanza è nata Brexit; da quella distanza germinano il rancore e lo spaesamento di chi dalla globalizzazione si sente escluso o minacciato. Il problema è che Brexit (come tutte o quasi le pulsioni nazional-populiste) non solo non combatte questa esclusione, ma la impugna e la esalta. Fino a che è esistita una sinistra viva e non sopravvissuta, riformisti o rivoluzionari che fossero i suoi modi, l’organizzazione degli esclusi pretendeva inclusione, semmai sovvertendo i rapporti sociali, giammai chiamandosene fuori. Quello che fa paura, nell’humor nero dei nostri tempi, è una sorta di gongolante estraneità. Si leggono in rete sprezzanti considerazioni sulla generazione Erasmus (“figli dei ricchi”) colpita al cuore dal voto inglese, e si percepisce un mondo capovolto. Il sogno degli operai comunisti era mandare i figli all’università. Qual è il sogno populista? Considerare Erasmus (quattro milioni di borse di studio previste tra il 2014 e il 2020) “roba da ricchi”?