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 2016  giugno 27 Lunedì calendario

Tutto quello che c’è da sapere su Maurizio Martina, il comunista democristiano

Si parla di lui come possibile vicesegretario unico del Pd: ruolo ideale per chi è considerato l’incarnazione della «minoranza dialogante», capace di fare pat pat sulle spalle di Matteo Renzi e contemporaneamente darsi di gomito con i suoi più acerrimi rivali. D’altronde Maurizio Martina da Bergamo, classe 1978, ha sempre dimostrato d’essere un drago nel galleggiare tra fazioni opposte o scivolare da una all’altra al momento opportuno.
Le linguacce dicono che il ministro dell’Agricoltura abbia coltivato fin da subito, in famiglia, la capacità di rapportarsi con gli avversari. Atalantino, nato a Calcinate ma residente a Mornico al Serio, terre prima democristiane e poi leghiste, si racconta che molti dei suoi parenti più stretti votassero Carroccio o Forza Italia. Lui, però, si schiera subito a sinistra. Succede nei primi anni Novanta, quando c’è ancora il Pds. Il giovane Maurizio resta turbato dalle stragi di mafia e decide di partecipare ad alcune iniziative anti-boss. Si reca perfino in Sicilia, dove partecipa a un corso teatrale.
È in questo mondo che conosce Mara, bergamasca di Ghisalba che poi diventerà sua moglie e che gli ha dato due bimbi.
La passione politica di Martina e le sue attitudini da leader esplodono ai tempi delle superiori, quando fa anche il cameriere a tempo perso in alcune pizzerie vicino casa. S’iscrive all’Istituto agrario di Bergamo, circa 600 studenti il 97% dei quali di sesso maschile. Una situazione drammatica e solo minimamente alleggerita dalla vicinanza con una scuola per parrucchiere ed estetiste. Martina, inseparabili Clarks, borsa a tracolla anziché zaino e camiciona a quadretti, è uno studente modello. Nella sua sezione, la A, è tra i pochissimi a vantare 9 in agronomia. Attenzione: l’Agrario non è una passeggiata di salute. Prevede una valanga di materie e, soprattutto, un’infinità di ore da passare tra i banchi. Tutti i giorni in classe almeno fino alle 13,30, ma nel triennio l’ultima campanella suona a pomeriggio inoltrato.
Martina entra nel Movimento studentesco nel 1994, quando viene organizzata un’iniziativa contro il primo governo Berlusconi che prometteva un milione di posti di lavoro. Spunta un volantino che storpia il nome del Cavaliere in Bananoni e scrive che assicurava banane anziché un impiego. Doveva essere una battuta brillante, ma la capiscono in due gatti. Martina è tra i protagonisti delle assemblee d’istituto. Microfono in mano, toni pacati, non si dimostra uno scalmanato come può succedere a quell’età. Tanto che il preside, Benvenuto Cattaneo, più di una volta si lascia sfuggire: «Con Maurizio si può parlare. Con altri, invece...». Peraltro, l’attuale ministro dell’Agricoltura è tra i pochissimi a entrare nell’ufficio del dirigente scolastico senza farsi intimorire da un enorme trofeo a forma di mucca, vinto in chissà quale competizione. Martina anima pure il giornalino studentesco: una volta contribuisce a confezionare un foglio così a sinistra al cui confronto il manifesto pareva un pericoloso quotidiano fascista. «Così gli altri ragazzi s’incazzano e decidono di partecipare» spiega in un’assemblea. A scuola, tutti gli riconoscono carisma ma, da buon esponente di sinistra, colleziona anche cocenti sconfitte. Come l’anno in cui la sua lista per le elezioni d’istituto deve fare i conti con una formazione leghista che schiera Viviana, una bellona che avrebbe fatto girare i compagni di scuola persino in un liceo, figuratevi all’Agrario dove la concorrenza tra fanciulle è ridotta a zero o quasi. Martina e i suoi non vanno oltre al 40%, ma lui riesce comunque a farsi eleggere. Viviana è tra le studentesse che riusciranno a ritagliarsi briciole di notorietà: si fa fotografare avvolta in una bandiera della Padania per il primo calendario delle «donne del Nord» e viene invitata al Maurizio Costanzo Show. Un altro studente, Massimiliano, già famoso in città per aver parcheggiato accidentalmente la Uno Bianca in una serra d’insalata, si dà un gran daffare per la Lega e finisce in tutte le tv quando, nel 1999, al congresso del Carroccio in quel di Varese, cerca di tirare giù dal palco il dissidente piemontese Domenico Comino e viene placcato dalla sicurezza.
Ecco, Martina evita questi eccessi. L’unico colpo di testa che si concede sono le fotografie di fine anno dove mostra il pugno chiuso (ma viene oscurato da alcuni compagni di classe che si calano i pantaloni). Già da studente ha rapporti con l’allora ministro dell’Istruzione Luigi Berlinguer (al dicastero dal 1996 al 2000), e nei rari dibattiti organizzati alla fine delle lezioni con alcuni parlamentari, aspetta la fine della discussione per avvicinare quello di centrodestra. E litigarci.
Mentre studia, l’attuale ministro non abbandona i lavoretti mentre il Pds cambia insegna in Democratici di sinistra. Oltre che nei ristoranti, si sbatte in un’azienda che si occupa di bottoni. Nel 2002 diventa responsabile della Sinistra giovanile, ma l’esordio tra i ragazzi rossi era stato da incubo. Volendo fare le cose in grande, organizza un concertone al Lazzaretto di Bergamo, vicino allo stadio. L’evento, costato un occhio della testa, va malissimo causa acquazzone.
Non si perde d’animo. Ma la sfortuna s’accanisce. Una sera sale sull’inseparabile Ciao e dalla sua Mornico va a Bonate Sotto (circa 30 chilometri) per un incontro del partito. Il motorino lo lascia a piedi. Lo riporta a casa un altro ragazzo, Matteo Rossi, che oggi è presidente della Provincia di Bergamo. Quella sera fa sbocciare tra i due una sincera amicizia che dura ancora oggi.
Il rapporto tra Martina e la Compagnia delle Opere, invece, inizia a Mornico. Maurizio viene eletto con una lista civica in consiglio comunale, dove il sindaco è Rossano Breno che diventerà presidente della CdO. Breno è un volpone democristiano, ma con Martina va subito d’accordo: il feeling tra i due non si romperà mai, tanto che parecchi maligneranno (e malignano) sui rapporti tra il politico e l’ambiente di Comunione e liberazione. Fatto sta che subito dopo le superiori, Martina va a Roma dove il partito gli affida alcuni incarichi e viene adocchiato da Pier Luigi Bersani. Poi torna a Bergamo dove cresce sotto l’ala del segretario provinciale e attuale deputato Pd Antonio Misiani, bocconiano di indiscutibili capacità. Martina sceglie Rossi come testimone di nozze. Si sposa in Comune, a Bergamo. Celebra lo stimato avvocato penalista Roberto Bruni, diventato il primo sindaco socialista (e laico) della storia cittadina, e tra gli invitati alla cerimonia ci sono alcuni pezzi da Novanta di Cdo e Cl. Dal già citato Breno all’allora direttore dell’influente Eco di Bergamo Ettore Ongis fino a Gugliemo Alessio che all’epoca era quotatissimo. Diventa segretario provinciale dei Ds, e in occasione del referendum sulla legge 40 scrive una lettera al quotidiano locale – di proprietà della Chiesa orobica – firmandola insieme al suo amicone Rossi e invocando un dialogo tra laici e cattolici. Rifondazione non apprezza i toni curiali e soprannomina la coppia «fra’ Maurizio e don Matteo».
L’ascesa di Martina è però inarrestabile. Approda in consiglio regionale nel 2010: da quattro anni era già leader lombardo dei Ds, senza aver finito l’università (scienze politiche, ovviamente). Qualche giornalaccio sfotte: «La sinistra s’affida allo studente fuoricorso». Ma poi riuscirà a portare a casa il pezzo di carta.
Politicamente, prende qualche granchio. In ordine sparso. Si schiera con Filippo Penati, poi affondato da grane giudiziarie. Quindi torna la passione – mai sopita – per Bersani. Quando questi cade in disgrazia, Martina opta per Gianni Cuperlo. Solo alla fine s’accende per Renzi che lo porta al governo. Magro anche il bottino elettorale. Quando lui è al timone regionale, la sinistra non tocca palla. Tanto che perfino Umberto Ambrosoli viene sconfitto da Maroni, nonostante la quarta e ultima giunta Formigoni fosse terminata anzitempo causa scandali. Però, ecco, Martina non s’è mai scoraggiato come sotto l’acquazzone del Lazzaretto o col Ciao che lo lasciava a piedi nel cuore della notte. E oggi il Pd – lui è tra i fondatori – s’è preso tutti i capoluoghi lombardi, confermandosi perfino a Milano. Beppe Sala è stato sponsorizzato da Renzi, ma anche da Martina che da ministro ha seguito Expo in prima linea. Milano era un suo cruccio, perché negli ultimi anni il successo più rilevante del centrosinistra lumbard era stato quello di Giuliano Pisapia. Che però aveva conquistato Palazzo Marino dopo la vittoria alle primarie su Boeri, sponsorizzato dai democratici che anche in quell’occasione se l’erano presa in saccoccia. Perfettamente calato nel ruolo di governo, Martina s’è presentato a una recente iniziativa pubblica in quel di Bergamo in camicia bianca e cravatta nera. Con lui, altre due persone conciate in identica maniera. Sembrava un tuffo nel passato, con Martina in versione cameriere accanto a un paio di colleghi, e invece il trio era composto da un ministro (lui), un sindaco (Giorgio Gori) e un premier (Matteo Renzi).
Non si ricorda una dichiarazione fuoriposto dell’attuale responsabile delle Politiche agricole. Già quando era un semplice politico di provincia, morire se regalava qualche battuta «da titolo». Ma evidentemente l’avere sempre la situazione sotto controllo è una delle sue qualità. Idem, l’umiltà. Poche settimane fa, s’è accomodato in uno locale spartano di Porta Venezia, Milano (è ghiotto di pizza e Coca Cola), per pranzare senza corte dei miracoli al seguito.Ora è accostato alla vicesegreteria del Pd. Ma Bersani e soci, che non hanno digerito la sua salita sul carro di Renzi, si sarebbero messi di traverso. Saltasse tutto, certamente Martina non si scoraggerebbe. Merito della sua tempra, coltivata anche in una scuola dove le donne erano una rarità e il programma prevedeva un focus sull’eiaculazione dei tori.