Corriere della Sera, 26 giugno 2016
Contro la Spagna servirà un’impresa, la nostra specialità
Ora che c’è bisogno di un’impresa con la Spagna, viene in mente che l’impresa è stata spesso il nostro pane. Cominciammo forse nel 1938 ai Mondiali di Francia. Eravamo i campioni in carica, ma avevamo una squadra completamente nuova, in semifinale trovammo il Brasile. Era strano e sconosciuto il Brasile, una specie di tam tam che raccontava meraviglie mai viste in Europa. Avevano un centravanti straordinario, Leonidas, che giocava scalzo, un centimetro di calli sotto i piedi. Chiese di poterlo fare anche ai Mondiali ma gli fu detto no, l’obbligarono a mettere le scarpette. Leonidas perse spontaneità, si sentiva correre, non capiva. Ma in quella semifinale il Brasile era nettamente favorito. La vinse invece Meazza da solo.
È possibile che Meazza sia stato un altro Maradona, forse, più correttamente, un altro Messi. Era nato a Porta Vittoria, quartiere milanese, da una verduraia della Bassa Padana, suo padre era morto in guerra. A 19 anni segnò 33 gol nell’Inter, miglior realizzatore italiano. A 21 anni ne segnò 31, di nuovo capocannoniere. Aveva solo classe e brillantina, mai un capello fuori posto, la stecca del biliardo sempre fra le mani. Chiuse la partita col Brasile calciando un rigore. Mentre era sul dischetto sentì i pantaloncini cadergli, si era rotto l’elastico. Non fece una piega. Con la sinistra si tenne i calzoni e con la destra prese la rincorsa. Finì 3-0 e naturalmente vincemmo anche la finale.
L’abitudine alle imprese moderne nacque in Messico contro la Germania di Beckenbauer e Muller, 1970. Eravamo fiacchi e polemici. Rivera aveva rotto con il capo spedizione azzurro, Mandelli; Riva non riusciva a esprimersi, eravamo lenti, prevedibili. Segniamo subito e facciamo quello che sappiamo per 90 minuti, cioè difenderci, un vero, santo catenaccio che i tedeschi annullano all’ultimo minuto, gol di Schnellinger, terzino del Milan. Si va senza molte speranze ai supplementari, infatti i tedeschi segnano subito. Quando finì 4-3 per noi avevamo realizzato uno dei momenti più belli del calcio. Italia-Germania è diventato un film, un monumento davanti allo Stadio Azteca, un riferimento per generazioni di ragazzi Italiani.
Ma la madre di tutte le imprese fu la partita con il Brasile del 1982, nel girone di qualificazione per le semifinali. Non era nemmeno immaginabile ci fosse gara. Gianni Brera scrisse che se avessimo vinto avrebbe partecipato alla processione dei battenti a San Zenone Po. Era il Brasile di Socrates, Falcao, Cerezo, Eder. A loro bastava il pareggio, a noi improvvisamente si accese Paolo Rossi. Veniva da due anni di squalifica, era magro e pallido, senza forza. Ma ritrovò tutto improvvisamente. Andammo con lui due volte in vantaggio e per due volte fummo ripresi. Un Brasile normale avrebbe gestito il finale tenendo il pallone. Ma quelli erano Dei, volevano solo vincere. Così Rossi spuntò alle loro spalle e segnò anche il terzo gol. Scalfari chiamò Brera dicendo che ora doveva partecipare alla processione dei battenti e che avrebbe mandato un inviato e un fotografo a documentarlo. Brera bestemmiò e ubbidì. Fu molto meno eroica perché più logica la finale con la Germania. Bearzot sfidò la storia sostituendo Antognoni, infortunato, con il ragazzino Bergomi, 18 anni. Un terzino per una mezzala avanzata. Cabrini avanzò in mediana per marcare a uomo Kaltz. Sbagliò anche un rigore nel primo tempo, sullo 0-0. Ma quando fu chiaro che Bergomi sapeva tenere Rummenigge, diventò chiaro anche che avremmo vinto. Fu il giorno dell’urlo di Tardelli, una liberazione totale, ferina, che ancora gli viene invidiata. Era stato un Mondiale di sofferenza. I giocatori inventarono il silenzio stampa sull’aereo che da Vigo ci portava a Barcellona. Un giornale italiano aveva scritto che Rossi e Cabrini erano fidanzati, sì, proprio in quel senso. Ci furono molti accenni di rissa tra giornalisti e protagonisti. Dopo la finale, guardando il Bernabeu che diventava notte, senza più un’anima intorno, Bearzot mi sussurrò: «Chi mi salverà adesso da questi nuovi amici che mi soffocano?». Non aveva perdonato.
Per chiudere, sono incerto tra due Italia-Germania, il nostro classico. Quella del Mondiale 2006 (semifinali in casa dei tedeschi) e quella di quattro anni fa (semifinali degli Europei). Più intensa quella dei Mondiali, più bella tecnicamente quella degli Europei. Ma eliminare i tedeschi in casa loro ci portò diritti al titolo mondiale. Con un gol di Del Piero che chiuse la partita dopo uno scatto di settanta metri.
Ne dimentico certamente molte altre d’imprese, ma il senso resta. Il nostro calcio è sempre stato fatica, non siamo mai stati i migliori, abbiamo dovuto sempre strappare il bello dalle mani degli altri. Oggi sono tempi diversi, meravigliare stanca di più. Ma le condizioni sono le stesse, siamo sempre sfavoriti. Ne vogliamo approfittare?