La Stampa, 25 giugno 2016
Non fu una fuga di gas: a Milano un uomo indagato per strage
Qualche sospetto era già venuto ai tecnici di A2A, la società municipalizzata per l’erogazione del gas a Milano. Lo scoppio che lo scorso 12 giugno aveva sventrato una palazzina in via Brioschi e che aveva provocato tre vittime – una donna che viveva nell’appartamento e una giovane coppia che abitava a fianco – era stato provocato da 47 metri cubi di gas. Da un esame del contatore i tecnici avevano accertato che il gas aveva iniziato a fuoriuscire all’una di notte, 8 ore prima dello scoppio, ad una velocità di quasi 6 metri cubi all’ora. Un’enormità: per provocare un’esplosione basta 1 metro cubo e mezzo.
Adesso c’è la prova che l’impianto di erogazione del gas è stato manomesso. E per questo nel registro degli indagati con l’accusa di strage finisce Giuseppe Pellicanò, un pubblicitario, il capofamiglia, il marito di Micaela Masella rimasta uccisa e dalla quale si stava separando, il padre di due bambine ancora ricoverate in gravissime condizioni in ospedale, un uomo depresso che forse in quel modo aveva cercato di uccidersi e di sterminare la famiglia. Un’ipotesi più che verosimile visto che l’uomo era in cura per depressione. Mentre la moglie si era affidata a un mediatore famigliare per le pratiche di separazione e per renderla meno traumatica soprattutto alle due figlie.
La decisione di iscrivere nel registro degli indagati per strage Giuseppe Pellicanò è arrivata dopo che i tecnici del gas e i vigili del fuoco hanno accertato che l’impianto era stato manomesso. I magistrati Elio Ramondini e Nunzia Gatto hanno deciso inoltre di avviare altri approfondimenti tecnici. In particolare lunedì verrà dato un incarico a un perito di accertare «la causa della fuoriuscita del gas combustibile nell’appartamento della famiglia Pellicanò-Masella all’interno del quale è avvenuta l’esplosione con particolare riferimento alla manomissione volontaria dell’impianto gas o di parti dell’impianto».
Ma i magistrati vogliono sapere di più. Vogliono essere sicuri che non si sia trattato solo di un banale incidente. E al consulente tecnico chiedono di accertare dettagli minuziosi, andando ad esaminare quel che resta dei tubi del gas, dello snodo con rubinetto, del flessibile di acciaio collegato alla cucina a gas. Nel loro conferimento dell’incarico i due magistrati scrivono: «Si accerti l’esistenza di segni o graffiature compatibili con utensili idonei allo smontaggio del dado-ghiera di serraggio del tubo flessibile in acciaio allacciato al piano di cottura». E ancora, per accertare che sia stato proprio il capofamiglia a decidere di fare una strage: «Si cerchino tracce biologiche e impronte latenti su superfici ritenute utili e in particolare alle parti dell’impianto gas che sono risultate manomesse e sugli strumenti rinvenuti utilizzabili per la manomissione». Con la nomina di un perito anche Giuseppe Pellicanò può dare incarico a un suo consulente. In attesa di ascoltare la sua verità, dal letto di ospedale dove si trova ancora in gravissime condizioni, come le sue due bambine di 7 e 11 anni.