Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  giugno 24 Venerdì calendario

Martin Schulz, ecco chi è il presidente del parlamento europeo (divenuto celebre anche grazie a Berlusconi)

Dei beneficati da Silvio Berlusconi, il principale è certamente il tedesco Martin Schulz, l’odierno presidente del Parlamento Ue. Ciò che il Cav tocca si trasforma in oro, questo è noto. Se la prescelta è una bella ragazza, quel tocco diventa un c/c bancario e un pied à terre in Via Olgettina. Ma vuoi mettere con ciò che accadde a Schulz il 2 luglio 2003 quando il Berlusca lo definì kapò di fronte all’Europa intera? Nell’Aula di Strasburgo erano riuniti i parlamentari per ascoltare il nostro premier che inaugurava il semestre di presidenza italiana. Da Malta a Helsinki, le tv inquadravano la scena. Il Berlusca fece il solito discorso pieno di sorrisi per accattivarsi destra e sinistra. Sedendosi, non dubitava di esserci riuscito. Si alzò invece un tizio massiccio e semi calvo, con la barbetta da quacchero, che si lanciò in un’invettiva. Almeno così pareva dal ditino alzato, tipo califfo, e i suoni aspri e gutturali. Ci volle un po’ perché la cerchia dei berlusconiani potesse raccapezzarsi su chi fosse quel tarantolato. Si capì dall’assenza di sfumature che era tedesco e che apparteneva al Pse per la posizione nell’emiciclo. Poi, si seppe che era tale Schulz – «il solito Schulz sempre fumantino», suggerì qualcuno-, capogruppo Pse di Berlino. Il Cav prese nota del nome e si mise la cuffia. Cadde dalle nuvole quando sentì che gli rimproverava il conflitto di interessi, la vicinanza a Umberto Bossi cui dava apertamente dell’ebete e che gli augurava – a lui ospite d’onore della giornata – di andare in galera. Ma come, si disse il Cav, io mi faccio in quattro per piacere e questo tizio, mai sentito prima, mi insulta a freddo? Così, quando il bruto finì di parlare, Berlusca era caricato a dovere. «Signor Schulz – disse, occultando la stizza con l’ironia -, so che in Italia c’è un produttore che sta montando un film sui campi di concentramento nazisti: la suggerirò per il ruolo di kapò. Lei è perfetto». Apriti cielo. Tutti nell’Aula a dargli addosso, col vicepresidente del Consiglio italiano, Gianfranco Fini, che voleva coraggiosamente sprofondare.
UN COLPO DI FORTUNA
La felice definizione di kapò mise le ali e volò per l’Europa. Martin divenne popolare dal Mediterraneo al Polo Nord. Fu un inaspettato colpo di fortuna che lo spinse come un’onda. L’anno dopo (2004), quasi per risarcirlo dell’etichetta nazisteggiante, divenne numero uno del Pse e, per li rami, presidente del Parlamento Ue nel 2012, riconfermato nel 2014. Ora che la carica scade a gennaio, aspira alla staffetta, eventualmente anticipata, con Jean-Claude Juncker per la presidenza della Commissione Ue. Oggi ammette di essere «un po’ grato a Berlusconi». Ma aggiunge: «Non ci siamo però riappacificati. Io so essere caparbio». La testonaggine è, infatti, la caratteristica di fondo del Nostro. L’ha ben descritta Beppe Grillo il quale, essendo anti Ue, è indigesto a Schulz che una volta disse di lui: «Mi ricorda Stalin». Al che il comico replicò a distanza: «Berlusconi non aveva tutti i torti a chiamarlo kapò, anche se assomiglia più a un krapò, ossia crapùn, crapa dura che spara cazzate». Faccio notare che gli attacchi di Schulz stridono con la sua carica che è per definizione sopra le parti. Martin però non sa dov’è di casa la neutralità politica. È sanguigno, settario e dice di sé: «Il mio colore è il rosso. Io appartengo ai rossi. Questa è la mia vita». Tanto che Nigel Farage, l’eurodeputato antieuropeista inglese, votandogli contro per la presidenza del Parlamento, lo liquidò così: «Solo una Repubblica delle banane vorrebbe alla guida un presidente così schierato come lo è lei». Avendo, come vedremo, poco di cui compiacersi, Martin ha cosparso la sua biografia di piccole leggende. La più retorica è il collegamento del proprio europeismo con la sua origine nel Dreilaendereck (Angolo dei tre Paesi), dove confinano Germania, Belgio e Olanda. Gli Schulz, racconta Schulz, si erano sparsi tra questi nazioni e nelle guerre, schierati su fronti contrapposti, i fratelli sparavano ai fratelli. Colpito da questa assurdità, il Nostro si innamorò dell’unità europea che prometteva la pace. Martin, oggi sessantenne, è il quinto e ultimo figlio di due Schulz, genitori dall’identico cognome ma non parenti. Albert, poliziotto, di tendenze socialiste e Clara di credo democristiano. La mamma prevalse nell’istruzione, mettendo quel suo figliolo crapùn nell’Istituto cattolico del Santo Spirito di Wuerselen, la loro città. Il babbo ebbe la meglio nella politica, poiché a 19 anni il ragazzo era già iscritto alla Spd. A scuola, Martin fu un disastro. Fece i tredici anni degli studi secondari ma fallì all’esame finale e rimase con la sola Licenza media.
«QUI VADO A SCATAFASCIO»
Intanto, incapricciato del calcio, puntava a diventare professionista nell’Alemannia Aachen ma si ferì a un ginocchio e dovette rinunciare al sogno. Per la delusione, cominciò a bere e tentò il suicidio. Dopo un po’ di questa vita, Martin ebbe una notte dell’Innominato in cui si disse: «O do un taglio radicale o vado a scatafascio». Intervenne il fratello medico e lo spedì a disintossicarsi. Aveva 26 anni. Risanato, si diplomò bibliotecario e aprì una propria libreria a Wuerselen. «I libri sono sempre stati la mia passione», ha spiegato Martin, senza specificare – alla luce dei risultati scolastici – se chiusi o aperti. A 31 anni, nonostante i trascorsi, fu per due lustri sindaco della sua città (38 mila abitanti). «La gente mi ha perdonato gli errori giovanili», ha detto con umiltà inconsueta. Nel 1994, entrò, per non più lasciarlo, nel Parlamento europeo. Sulla scheda ufficiale, la sua qualifica è bibliotecario. Come i buoni europeisti, Schulz parla correntemente diverse lingue oltre il tedesco: francese, inglese, olandese, italiano. Come molti suoi compatrioti, che a dispetto della loro centralità si sentono provinciali, ama altre culture più della propria. Il suo libro preferito è Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa. Ha un debole per la Francia e canta spesso, sotto la doccia e altrove, le canzoni Anni ’60 di Juliette Greco, Georges Brassens e Charles Aznavour. Il settarismo schulziano è di due tipi: contro la destra e contro l’europerplessità. Considera essenziale mettere i piedi nel piatto e creare casino. Ci riesce in media una volta al trimestre. Due anni fa, invitato in Israele, fece un discorso alla Knesset. Parteggiò per i palestinesi e accusò gli ebrei. Diversi abbandonarono l’Aula, il premier Netanyahu andò in bestia e Uri Orbach, ministro dell’Economia, commentò: «È insopportabile sentire pronunciare delle menzogne alla Knesset e per giunta in tedesco». Sei mesi fa, rimproverò al governo polacco, fresco di elezione, di avere fatto un colpo di Stato per la sua politica di destra. Il primo ministro, Beate Szydlo, una dura, gli ha chiesto le scuse e quello degli Esteri l’ha mandato a quel Paese. Per questo e altro, ci si è posti la domanda se non usi la carica più per fare parlare di sé che per proteggere l’Ue dal collasso.

INVASATO

Schulz appartiene a quella genia di europeisti tedeschi che, invasati del loro primato, finiranno per incendiare in un nuovo Walhalla, la costruzione Ue. È della pasta di Wolfgang Schäuble, il ministro dell’Economia di Berlino che ha ammonito Londra, qualora esca con Brexit, che la strada è senza ritorno. Nessuno l’ha autorizzato ma l’ha detto. Con una spocchia che pare fatta apposta per provocare l’elettore inglese e farlo fuggire dall’Ue. Eguale ottusità è già stata applicata con successo da Martin. Due anni fa, gli svizzeri si apprestavano a votare una limitazione dell’andirivieni di stranieri a casa loro. I dubbi erano molti. Scomparvero però di colpo, appena l’impiccione renano ebbe il guizzo geniale di dire al più diffuso giornale elvetico che, se la proposta fosse passata, l’Ue «non l’avrebbe presa bene». Seccati per l’ingerenza, gli elettori votarono sì. L’intellighenzia locale, inviperita per un risultato in contrasto con la tradizione svizzera di accoglienza, accusò il libraio di Wuerselen di avventata dissennatezza. Il libraio se n’è impipato e continua a fare il crapùn.