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 2016  giugno 24 Venerdì calendario

«Se si fosse indagato su quel bambino morto, avrei ancora mia figlia qui con me, ne sono certa». In queste parole c’è tutta l’amarezza di Domenica Guardato, la mamma della piccola Fortuna

«Se si fosse indagato su quel bambino morto, avrei ancora mia figlia qui con me, ne sono certa». Parole amare quelle di Domenica Guardato, la mamma della piccola Fortuna, uccisa il 24 giugno del 2014, esattamente due anni fa, in circostanze del tutto simili a quelle che hanno portato alla morte di Antonio Giglio, un anno prima. Oggi le due piccole vittime dell’orrore del Parco verde di Caivano, agglomerato di case popolari in provincia di Napoli, saranno ricordate con una manifestazione organizzata dai volontari dell’associazione “Un’infanzia da Vivere” e dal sacerdote della terra dei Fuochi don Maurizio Patriciello: due alberi verranno piantati in uno spazio verde recuperato dal degrado e bonificato da centinaia di siringhe usate, perché il Parco verde, oltre a essere teatro di infanzia negata, è anche una grande piazza dello spaccio di eroina. Questa mattina Domenica leggerà una letterina che ha scritto per la figlia: «Non so se riuscirò a vincere l’emozione», confessa. Sui risvolti dell’indagine dice: «Vado avanti con la speranza di arrivare alla verità. Dopo due anni di inchiesta ci hanno detto che mia figlia è stata violentata. Voglio capire perché me l’hanno ammazzata, da che piano è volata giù, se è stata uccisa prima in casa. Ci sono ancora tanti punti oscuri, mi faccio queste domande tutti i giorni. Si doveva indagare di più sulla morte di Antonio, se si fosse fatto, Fortuna sarebbe viva». La mamma di Chicca non ha dubbi sul coinvolgimento di Marianna Fabozzi: «Per me c’entra anche lei. Ho saputo che è stata indagata per la morte di Antonio. Ho detto dal primo giorno che mia figlia andava lì, al settimo piano a giocare con l’amichetta». La Guardato invece esclude che al Parco verde di Caivano esista una rete di pedofili: «Non ci credo. Ho 28 anni sono cresciuta qui dentro, mia madre lasciava la porta di casa aperta, ci sono persone che lavorano, persone oneste. Non sono tutti pedofili. Non era mai accaduto niente, fino alla morte del primo bambino e poi di mia figlia. Desidero avere giustizia. Penso agli altri miei figli: il più grande ormai ha capito che la sorella non può tornare. Il piccolo, 5 anni, ogni tanto la cerca: “Mamma andiamo a prendere Chicca”. La crede in ospedale, non sa che è al cimitero».
C’è solidarietà nel rione, ma anche irritazione per l’attenzione che la vicenda continua a suscitare: qualcuno ha anche strappato parte di uno dei piccoli cartelli che annunciano la manifestazione di oggi. Cosa che non scoraggia i volontari del quartiere. Come Bruno Mazza, 35 anni, di cui 11 trascorsi in carcere: «Ero il braccio destro di un boss, gestivo due piazze di spaccio. Ora lotto perché i bambini di questo rione non facciano la mia stessa fine. Abbiamo raccolto da terra oltre 600 siringhe. Viviamo in condizioni disumane, da tempo le istituzioni si sono dimenticati di noi. Ma vogliamo cambiare il nostro destino o almeno provarci».