Corriere della Sera, 24 giugno 2016
Se il tesoriere dell’Isis era un operaio di Belluno
Faceva l’operaio a Belluno. Tre anni fa la svolta: aderisce all’Isis. Decide di partire per la Siria e diventa un soldato del Califfo. Non un combattente qualunque, ma il tesoriere dello Stato Islamico. Munifer Karamaleski, macedone, è adesso indagato dalla Procura di Venezia che ne ha chiesto l’arresto per terrorismo. Quando è partito non ha detto alla moglie che andavano in Siria perché lei non voleva seguirlo.
Venezia Munifer faceva l’operaio a Belluno e viveva a Palughetto di Chies d’Alpago, piccolo borgo immerso nel verde di una valle prealpina. Giovane e intraprendente, aveva messo su famiglia con Ajtena che gli ha dato tre figli quando non aveva ancora 26 anni. Nel 2013, la svolta. Il macedone Munifer Karamaleski si radicalizza, decide di partire per la Siria e diventa un soldato del Califfo. Non un qualsiasi combattente: «Si occupa di vigilanza del ghanima, il deposito del bottino di guerra dello Stato islamico», precisa la procura antiterrorismo di Venezia, ieri impegnata in un incontro internazionale a L’Aja fra inquirenti italiani, sloveni e bosniaci che stanno conducendo inchieste sui reclutatori di foreign figthers. Il procuratore aggiunto lagunare Adelchi d’Ippolito e il pm Francesca Crupi hanno portato i risultati di un’indagine che vede coinvolte diverse persone, fra cui Karamaleski e il bosniaco Husein «Bilal» Bosnic, considerato da varie procure europee il più grande arruolatore dell’Isis, in carcere a Sarajevo dove è stato condannato a sette anni. Venezia ha chiesto per Bosnic l’estradizione che però è stata negata dalle autorità bosniache. Mentre è stata accolta ed eseguita quella del suo braccio destro, lo sloveno Rok Zavbi, che Lubiana ha consegnato proprio ieri come suggello all’incontro di L’Aja (primo foreign fighter a disposizione della magistratura italiana).
Fra gli altri indagati per i quali il magistrato italiano ha disposto l’arresto c’è anche Munifer Karamaleski, la cui storia emerge dalle carte dell’inchiesta. Come quella di un altro bellunese d’adozione, suo compagno di viaggio, l’imbianchino bosniaco Ismar Mesinovic, che andò in Siria con il figlioletto di tre anni per morire poco dopo in battaglia. Anche Karamaleski non partì da solo, nel dicembre del 2013. Con lui c’erano i bambini e la moglie. Rispettosa e indulgente, Ajtena l’aveva seguito senza fare troppe domande. «Ma non sapeva che andavano in Siria, gliel’ha detto solo quando sono arrivati al confine. Non avrebbe mai accettato, con tre figli piccoli...», racconta il muratore Haxhiu Vilson, amico di famiglia, alla madre senza sapere che ad ascoltare la telefonata c’erano anche i carabinieri del Ros di Padova. Haxhiu conosceva bene Ajtena e Munifer, li frequentava, stesso giro, stesso centro islamico, stesse montagne. Era a conoscenza del progetto jihadista di Karamaleski e ora si pente di non averlo rivelato ad Ajtena. «Avevo però ripetuto più volte a Munifer di dirlo subito anche a lei che andavano lì...». Ingannata Ajtena e ingannata anche la moglie di Mesinovic, la cubana Lidia Solano Herrera. «Lo porto dai parenti», le aveva detto lui prima di andarsene con il bambino in Siria. Non li ha più visti. «L’imam Bosnic (che in Italia veniva a reclutare con Zavbi, ndr) l’aveva avvertito: puoi partire solo se ti segue tutta la famiglia oppure se la moglie va a vivere in un paese islamico durante la tua permanenza in Siria... Bosnic ha mandato così 200 persone in Siria», ha raccontato Vilson agli inquirenti. Ma Lidia non avrebbe mai accettato. E dunque lui l’ha lasciata. «La soluzione al problema di Ismar è stato il divorzio, grazie al quale ha ottenuto dall’imam l’autorizzazione alla partenza, in regola con i precetti islamici», scrive l’Antiterrorismo nella richiesta d’arresto. Ismar è partito ed è morto.
Meglio è andata a Munifer, diventato guardiano del bottino del Califfo per 200 dollari al mese. «Ma non pago l’affitto, né la corrente elettrica, solo il cibo», racconta via Skype alla sorella Sibel che è rimasta a Belluno con i genitori, Raima e Muzafer. Entrambi sono stati intercettati mentre parlavano con Munifer. «Figlio mio, cosa fai? I bambini come stanno?», gli chiede la madre Raima. «Bene bene, lavoro un po’, studio un po’». Interviene papà Muzafer: «Dove sei?». «Albusra (circa 500 chilometri da Aleppo, ndr)». La madre: «Devi tornare a casa! La nonna sta male, è in ospedale». «È difficile», taglia corto Munifer. «Come difficile? Qualsiasi cosa tu faccia... torna! Torna a casa e basta! Ti prego... ti supplico».