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 2016  giugno 23 Giovedì calendario

Totò, Peppino e il controllo antidoping. Una novella di Gogol sulla burocrazia? No, è tutto vero

Gaia Piccardi per il Corriere della Sera
Citofonare Sergio. Sull’uscio del Quirinale il corazziere uno ha guardato il corazziere due, convinto di non aver ben capito. «Siamo qui per un controllo antidoping, cerchiamo l’atleta Elisa Rigaudo» hanno detto gli uomini della Iaaf, la Federatletica internazionale, nel giorno della cerimonia della consegna della bandiera agli alfieri di Rio (Federica Pellegrini per l’Olimpiade e Martina Caironi per la Paralimpiade). Sapevamo delle scampanellate all’alba, in quell’orario – dalle 6 alle 7 di mattina – che gli sportivi di ogni disciplina e latitudine inseriscono volentieri nel formulario delle reperibilità così, prelevate sangue e urine prima della colazione, poi non ci pensano più. Li abbiamo visti mille volte in azione nei grandi eventi, tra gara e podio, quando spesso l’eroe di giornata, disidratato com’è e incapace di fare subito pipì, ritarda tutto il protocollo. Ma al Quirinale, davanti alla casa del presidente della Repubblica Italiana, mai. È il luogo più protetto di Roma, la sede istituzionale per eccellenza, obiettivo sensibile e simbolo carico di storia. Per accedere, devi essere annunciato e preceduto da nome, cognome e data di nascita. A loro agio come Totò e Peppino in cappotto e colbacco in piazza del Duomo, i due medici prelevatori tedeschi sono stati respinti al mittente. C’è tempo e luogo per ogni cosa, soprattutto nel mondo iper-regolamentato e super formale dell’antidoping, dove nulla (il caso umano-bis di Alex Schwazer lo dimostra) può essere lasciato al caso. Nemmeno tanto zelo, corroborato dall’alibi della nota precisione tedesca, va considerato occasionale. Sotto pressione per lo scandalo corruzione che ha travolto la presidenza del senegalese Lamine Diack e accusato di connivenza, il nuovo numero uno della Iaaf, la gloria del mezzofondo inglese Sebastian Coe, ha imposto la lotta al doping come faro guida della nuova dirigenza. La prima, clamorosa, conseguenza è stata l’esclusione dell’atletica russa dai Giochi di Rio. Va benissimo essere spietati e minuziosi, ma con giudizio. L’uscio del Quirinale è uno di quei pochi portoni nel mondo che non si varcano senza l’appropriato dress code. «È come se vi foste presentati dalla Merkel» ha spiegato ai tedeschi la Rigaudo, cui il sangue è stato prelevato dopo la cerimonia. Ma la gaffe, a quel punto, era già da oro olimpico.

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Michele Serra per la Repubblica
L’episodio dell’ispettore della Federazione Internazionale di Atletica Leggera che pretende di entrare al Quirinale per prelevare la pipì di un’atleta azzurra mentre è a colloquio con Mattarella è semplicemente incredibile. Sembra un racconto umoristico, una novella di Gogol sulla burocrazia. Ma è davvero accaduto, nello sbigottimento (e nell’ilarità, immagino) del personale del Quirinale che ha dovuto spiegare a quel signore (pare di nazionalità tedesca) che un’udienza dal capo dello Stato non è il momento più adatto per la raccolta delle urine.
Quel signore fa quasi tenerezza. È il simbolo vivente della burocrazia nel suo aspetto più assurdo e al tempo stesso più funesto: quell’ottuso perseguire i propri obiettivi senza mai calarsi nella realtà umana – e nella realtà tout court – in cui si agisce. Moduli da riempire e iter da completare, come un circolo chiuso che ha inizio e fine in una stanza d’ufficio e solo in quella stanza. Il “fuori” è solo un magma inerte da controllare e da schedare. L’impopolarità della burocrazia sta tutta in questa sua implacabile alterità rispetto alla materia umana. In questo senso la riforma delle riforme, la più difficile e forse la più impossibile, è la riforma della burocrazia. In tutto il mondo. Dalla Germania al Quirinale.