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 2016  giugno 23 Giovedì calendario

Dopo il voto di oggi niente resterà più come prima

Aldo Cazzullo per il Corriere della Sera
Se, come tutti ci auguriamo, la Gran Bretagna sceglierà oggi di restare nell’Ue, si potrà dire davvero che una donna ha salvato l’Europa: Jo Cox, la giovane deputata uccisa da un estremista. È stato quel dramma, oltre alla paura per le conseguenze economiche e al naturale «richiamo all’ordine» delle ultime ore, a far girare il vento che spirava forte nelle vele del Leave, dell’addio. La partita però non è affatto decisa.
L’esito del referendum resta apertissimo. Perché fino a pochi giorni fa il «mood», l’umore prevalente, era dalla parte di Brexit. E non tutti i suoi sostenitori sono xenofobi o anche solo radicali come Nigel Farage.
Immaginate di vedere le immagini tv degli sbarchi a Lampedusa in un pub di Folkestone, dove sbuca il tunnel sotto la Manica (com’è accaduto a chi scrive). O al Nord, ai piedi del Vallo d’Adriano, ai confini d’Europa. Ma pure nella multiculturale Londra, che è sempre meno una città britannica. Per un inglese medio, Lampedusa è un luogo remoto se non esotico, in cui si fa il bagno quando a casa sua è inverno. Quasi nessuno vi è stato o saprebbe anche solo indicarla sulla carta geografica. L’idea che ogni giorno sbarchino dall’Africa mille persone e possano spostarsi da lì in tutto il continente appare qualcosa di inquietante o comunque estraneo.
La reazione istintiva è: questo non mi riguarda, e io me ne chiamo fuori. Ovviamente si tratta di una reazione irrazionale: Londra è fuori da Schengen, i controlli ci sono; e dai primi casi l’impressione è che la Royal Navy interverrebbe nella Manica con intransigenza. Ma non sempre i popoli decidono con la ragione. Questo certo non giustifica l’uso propagandistico che degli sbarchi è stato fatto nella campagna referendaria; ma aiuta a comprendere il suo impatto.
Occorre poi tener conto di un altro e diverso fenomeno. Ogni anno le regole di libera circolazione consentono l’arrivo nel Regno Unito di oltre 300 mila italiani, spagnoli, polacchi: ragazzi dinamici, attivi, in gamba, di cui siamo orgogliosi e che rappresentano per Londra una grande risorsa. Ma sarebbe ipocrita negare che questo flusso, visto con gli occhi di un inglese, complica il mercato del lavoro ed esercita una pressione sul sistema sanitario. Non è solo l’economia a decidere il voto di oggi. Contano anche lo spettro dell’immigrazione clandestina, e le conseguenze di quella legale. Ciò che a noi appare inevitabile o giusto, all’opinione pubblica inglese può apparire preoccupante o dannoso; demonizzare non aiuta a capire. E c’è ancora un fattore da considerare.
Il peso dell’omologazione burocratica di Bruxelles e dell’egemonia politica di Berlino è duro da sopportare per un popolo orgoglioso della propria identità e della propria insularità. Un popolo che ha dato all’Occidente la sua lingua franca, che ha saputo rinunciare a un impero senza conflitti sanguinosi come quelli ingaggiati dai francesi in Indocina e in Algeria, che ha vinto – da solo o con i suoi alleati – tutte le guerre che ha combattuto negli ultimi due secoli: contro Napoleone e contro Hitler, contro i coloni boeri e contro i generali argentini. Anche per questo nelle ultime settimane si sono sentite soprattutto le ragioni del Leave; e il Remain, almeno fino all’assassinio di Jo Cox, è parso frutto più di timore e rassegnazione che di convinzione e speranza.
Non c’è dubbio che la modernità e il senso del futuro, oltre alla convenienza economica e finanziaria, dovrebbero ancorare la Gran Bretagna all’Europa; un’Europa che la Gran Bretagna dovrebbe contribuire a cambiare. Londra può avere un ruolo importante per riequilibrare il peso della Germania, regolare l’immigrazione dal Sud del mondo, rafforzare la cultura liberale, alleggerire le burocrazie, introdurre nuove forme di partecipazione popolare: è pur sempre la patria della moderna democrazia rappresentativa; e anche questo storico referendum dimostra che la tradizione non è andata perduta.
La giornata di oggi minaccia di essere una sconfitta per tutti; ma promette di rivelarsi l’opportunità per il rilancio dell’ideale europeo. L’unica ipotesi da escludere è continuare come se nulla fosse accaduto. Il sangue di Jo Cox non è stato comunque versato invano, la sua lezione di tolleranza e impegno civile resterà; e potrebbe anche passare alla storia come la donna che ha salvato il sogno dei detenuti di Ventotene, della generazione Erasmus, degli europei che non vogliono più guerre né muri.

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Francesco Guerrera per La Stampa

La Gran Bretagna vota e l’Europa si guarda allo specchio. 
Dentro o fuori, il Regno Unito di domani mattina sarà completamente diverso da quello di stasera. E neanche l’Unione Europea si può permettere di rimanere la stessa. 
La scommessa incosciente di David Cameron - andare a pungolare l’anti-europeismo dei britannici per regolare beghe interne di partito - ha sparato una luce accecante sui tanti fallimenti del «progetto europeo». Anche se il primo ministro britannico dovesse vincere - e non è un risultato scontato - l’Ue dovrà trovare una nuova strada per continuare il viaggio iniziato dopo la Seconda guerra mondiale.
«Ossessionati dall’idea di un’integrazione totale ed immediata, non ci siamo accorti che la gente normale, i cittadini dell’Europa, non condividono il nostro “Euro-entusiasmo”», a dirlo non è un inglese disilluso dall’Europa ma Donald Tusk, il presidente del Consiglio Europeo. «Lo spettro della separazione sta perseguitando l’Europa ma la visione di una federazione non è la migliore risposta», ha aggiunto in un discorso a maggio.
C’è chi, a Bruxelles ma anche nelle capitali europee e persino a Londra, non e convinto. Chi crede che il solo modo per far fronte alla crisi economica, al dramma dell’immigrazione e alla sconnessione tra popolo e istituzioni europee sia «un’unione sempre più stretta», la frase più amata dagli eurofili e più odiata dagli euroscettici.
E’ per questo che l’unico risultato sicuro del referendum di oggi sarà un’Europa «a due velocità». Anche se la Gran Bretagna decide di rimanere, rivendicherà con ancora più forza il suo diritto a rimanere fuori dalle spinte integrazioniste di Bruxelles. Per Londra quell’unione sempre più stretta è stata un abbraccio troppo soffocante. 
Nella migliore delle ipotesi, ci troveremo con due Europe. Una, basata sul classico asse franco-tedesco con l’appoggio condizionato di Italia e Spagna, intenta a rimanere unita intorno all’euro e a risolvere gravi problemi come l’immigrazione con politiche comuni. 
E l’altra, capitanata dal Regno Unito, che vuole partecipare ad alcuni progetti come il mercato unico, il commercio estero e la ricerca scientifica, ma che si riserva il diritto di stare fuori dai piani federalisti degli altri. La Danimarca e la Svezia già vi appartengono, ma questo club potrebbe anche annoverare Paesi come l’Ungheria e la Polonia e offrire una sponda isolazionista a partiti politici con tendenze euroscettiche in Francia, Spagna, Italia e Germania. Non è un caso che Marine Le Pen stia già chiedendo un referendum stile-britannico in Francia.
Ma la divisione, forse naturale, tra chi vuole più Europa e chi ne ha già abbastanza, potrebbe non bastare a riconquistare i cuori, i cervelli e i voti dei cittadini. Un recente sondaggio del Pew Research Center ha mostrato gli ostacoli di fronte all’ Europa a due velocità. In Francia, il 61% della popolazione ha una visione negativa dell’Ue. In Spagna e in Germania, è quasi la metà della popolazione a non amare l’Unione. E pure in Italia, quasi il 40% dei sondati si dice critico del progetto europeo. 
Un mio amico banchiere parla spesso di un’Europa «a due livelli, come gli autobus di Londra». Ma non si può avere un’Europa a due piani se nessuno vuole salire in cima e se non c’è un autista. 
E questa sarebbe la soluzione migliore: una sconfitta della Brexit che farebbe piacere ai mercati, a Bruxelles e all’asse Berlino-Parigi-Roma-Madrid. 
Il risultato-incubo, la vittoria dell’Out, provocherebbe convulsioni immediate nei mercati sia a breve termine - il crollo della sterlina e delle Borse europee - sia a medio termine - una recessione nel Regno Unito accompagnata da un crash quasi sicuro nel mercato immobiliare inglese che potrebbe portare a una crisi finanziaria. Ma potrebbe anche segnare l’inizio della fine del progetto europeo. Non un’Europa a due velocità ma un’Europa allo sbando.
A voi, ladies and gentlemen.