Il Fatto Quotidiano, 22 giugno 2016
«Non fatevi di droga e di sesso selvaggio, fatevi di moda. Ve la vendo io». Così la Sozzani vuole combattere l’Hiv con lo shopping
Carla Sozzani è una persona nota nell’ambiente delle persone note. Regina dell’anacronistico Corso Como 10, a Milano (punto di riferimento di un mondo fashion sempre più autoreferenziale e distante da una realtà che di fashion ha soltanto l’immagine sbiadita di un film i cui titoli di coda persistono ancora nell’immaginario di chi non è in grado né vuole guardare il presente) è recentemente apparsa sui muri di Milano nel ruolo di “testimonial” di quanto mi preme raccontare.
Dunque. L’ex direttrice di Vogue e di Elle si mostra, con un look apparentemente vampiresco, su manifesti che sarebbero espressione di una campagna pubblicitaria a fini benefici.
Lo scopo sarebbe quello di ricordare che ci sono ancora migliaia di persone che muoiono di Aids.
La figura del testimonial scorre parallela a quella della storia della pubblicità. Che si tratti di biscotti (oggi, Banderas) o di promozioni belliche (cento anni fa, D’Annunzio); della difesa della foresta amazzonica (Sting, da decenni) o di cioccolato (Salvator Dalì, negli anni Cinquanta dello scorso secolo, il testimonial “ci mette la faccia”. Per vendere qualcosa. Per sostenere una causa. Ma Carla Sozzani fa qualcosa di diverso. Ecco, testuale, quanto appare scritto nel manifesto in questione: “In Italia 120.000 persone sieropositive. 4.000 nuovi casi all’anno. L’AIDS È DI MODA? Io ci metto la faccia, a te chiedo di fare shopping. Meglio FASHION VICTIM che AIDS VICTIM”. Questo il messaggio.
Confesso che, quando ho visto e letto, sono rimasto agghiacciato. Poi a un certo punto ho pensato che fosse una provocazione artistica alla Cattelan, magari proprio dello stesso Cattelan. Continuavo a rileggere: “Io ci metto la faccia, a te chiedo di fare shopping” seguito da “Meglio Fashion VICTIM che AIDS VICTIM”. Più leggevo, più mi pareva inverosimile. Più cercavo di capire, più una rabbia insormontabile mi prendeva allo stomaco.
Proviamo a interpretare. Con una sorta di cinismo volutamente paradossale (e quindi autoassolvente) il benaltrismo che oggi impera diventa strumento strategico di iperfalsificazione di una realtà già completamente falsificata: il messaggio, in fondo, è plausibile: “meglio essere vittime della moda che dell’Aids”. Un po’ meno in fondo, si sta scientemente giocando a fini di marketing con uno dei drammi dell’umanità. “Non fatevi di droga e di sesso selvaggio, fatevi di moda. Ve la vendo io”. La moda come una sorta di metadone. Con il rivenditore autorizzato, dal nome prestigioso, che “ci mette la faccia” per venderlo.
C’è qualcosa di talmente sfacciato in tutto questo da rendere sensibile il superamento della falsificazione in impudicizia (da parte di chi produce il messaggio) e di un’assenza totale ormai di coscienza etica (in chi accetta un messaggio di questo genere) che dovrebbe farci insorgere di sdegno. Ma non avviene. Siamo abituati a tutti. Diceva un utopico, oggi decisamente fuori tempo e luogo Hegel che “Ciò che è razionale è reale, ciò che è reale è razionale”.
Tempi molto lontani. Potremmo dire, rimanendo nell’ambito in cui ci troviamo, “vintage”. Mentre appare potentissima ed estremamente aderente ai tempi la frase, un tempo rivoluzionaria, di Lacan: “Il reale è l’impossibile”. È impossibile un tale livello di abbrutimento etico, di confusione mentale, di “sperimentalismo psichico” attuo a testare quali sono le ultime barriere rimaste allo stradominio di un mercato senza più scrupoli.
Sostenere che è meglio essere vittime della moda che dell’Aids è anche rivelatorio di un sistema che ci ritiene vittime, ed è assolutamente interessato a mantenerci tali, tanto da poter uscire allo scoperto e dircelo senza problemi. Può essere che questo tempo di crisi ci sia utile almeno a scoprire le convulsioni di un sistema che, non reggendo più, perde ogni forma di pudicizia. Il messaggio appropriato, tenendo ferma la forma delirante della trovata della Sozzani è di chi ha promosso questa iniziativa, sarebbe essere “Meglio essere vittime dell’arrivare a fine mese che dell’Aids”. Ma non è un messaggio che vada divulgato.
Non solo perché cretino e ovvio, ma anche perché i residui vampiri di un mondo che ormai non esiste più non ne trarrebbero alcun vantaggio. Anzi. Ci sarebbe il pericolo che le vittime si svegliassero. E che capissero quanto fanno schifo le catene che negli ultimi decenni ci siamo messi.
Sottomissioni psichiche, distrazioni dallo smantellamento dello stato di diritto quanto di ogni residuale dignità etica. Se i fondamenti dell’Europa fossero i valori laici della Rivoluzione Francese e quelli millenari del cristianesimo sono saltati entrambi. Ma è forse giunto il momento del risveglio. Mai più “Fashion victim”. Guardiamoci attorno. Con attenzione. Vi ricordate Essi vivono di Carpenter? Vivono, ci donano e ci vampirizzano.
Ma se smettiamo di dar loro retta, di porgere loro il collo, le cose potrebbero cambiare.