Libero, 22 giugno 2016
Il ventenne inglese che voleva uccidere Trump, ma non ci è riuscito
Un giovane britannico di 20 anni, clandestino da 18 mesi negli Usa, ha cercato di afferrare la pistola dalla cintola di un poliziotto e sparare a Donald Trump. Il maldestro tentativo di attentato è avvenuto a un rally del nominato repubblicano al Treasure Island Hotel di Las Vegas, in Nevada. Michael Steven Sandford, immediatamente bloccato e arrestato, ha ammesso il suo piano da killer ed è apparso in tribunale già lunedì nel processo per direttissima, nel corso del quale sono emersi i dettagli dell’azione fallita. Al ragazzo è stata negata la libertà su cauzione per il rischio di fuga. La dinamica dell’azione immaginata da Sandford, che aveva in passato sofferto di autismo e ossessioni compulsive come ha raccontato la madre ai giudici, può apparire assurda, ma soltanto adesso perché gli è andata male. Cogliere di sorpresa un agente di scorta in un attimo di distrazione, sfilargli l’arma e puntarla sul bersaglio prescelto a poca distanza è questione di secondi, e qualcuno più lesto e preparato di Sandford avrebbe potuto avere sorte migliore.
La premeditazione c’era, ed è provata dal fatto che il cospiratore avesse speso il venerdì precedente in un poligono di tiro per imparare a maneggiare un revolver, ma soprattutto dalla sua stessa dichiarazione agli inquirenti secondo la quale stava organizzando l’assassinio da un anno. Originario del Surrey, l’imputato aveva una licenza di guida inglese e viveva con la madre a Hoboken nel New Jersey, da un anno e mezzo illegalmente, dopo che gli era scaduto il visto regolare. Pare che dormisse spesso nella sua auto e, quando è stato fermato, aveva in tasca pure un biglietto per entrare al comizio successivo di Trump a Phoenix, Arizona, nella stessa giornata, nel caso fosse «saltata» la chance in Nevada. Ai poliziotti ha detto che era arrivato in macchina a Las Vegas dalla California e che era convinto che sarebbe morto durante la missione. Il caso concreto di un poveretto come Sandford, illegale che cerca di dotarsi di un’arma in un modo disperato, si inserisce come un paradigma nei dibattiti più accesi che dividono i partiti a quattro mesi e mezzo dal voto: il controllo delle armi e l’immigrazione clandestina. Sull’onda dell’emozione per Orlando, i senatori Usa hanno discusso ieri quattro proposte di legge, due per ogni partito, tese a restringere ulteriormente le norme per il controllo sulle vendite e sugli acquirenti. Sono state bocciate, le due Dem, perché lesive del Secondo emendamento e dei diritti personali agli occhi del Gop; le due repubblicane perché troppo blande secondo i democratici. Ora è al lavoro un gruppo bipartisan, guidato dalle senatrici Susan Collins (Gop) e Heidi Heitkamp (Dem), che studia una legge per vietare la vendita a chi è nella no fly list (le persone che non possono prendere un aereo perché sospette) e chi è apparso nella lista nera per inchieste sul terrorismo negli ultimi 5 anni. Comunque, se lo scenario attuale fosse quel gruviera legislativo pieno di buchi che consente a chiunque di comprare una pistola, come sostengono i democratici più anti-Nra (la lobby delle armi), il giovane non si sarebbe ridotto a un’avventura con l’1% di possibilità di successo. Quindi, di leggi per tentare di impedire che le armi finiscano in mani sbagliate ne esistono già, e fanno quello che possono, Stato per Stato. In Illinois, dove sono strettissime, non impediscono per esempio che nella sola Chicago ci siano state nel 2016, al 21 giugno, 1792 vittime d’arma da fuoco (in forte crescita sui 2998 dell’intero 2015). Le pistole non sparano da sole, sono gli uomini cattivi e male intenzionati a tirare il grilletto. E gli assassini di Chicago, tutti neri e ispanici delle gang criminali, non usano certo la loro fedina per dotarsi di armi. Quanto all’immigrazione, se il governo Usa facesse rispettare davvero la legge federale che considera già oggi un crimine essere nel Paese senza regolare visto, Sandford sarebbe stato beccato ed espulso. Non sarebbe stato sabato a due passi da Trump, e a un soffio dalla storia come Lee Harvey Oswald, il killer di Bob Kennedy, che fu ucciso in campagna elettorale qualche mese prima del voto.