Corriere della Sera, 22 giugno 2016
Comincia la prova di maturità. Lo scrittore Emanuele Trevi ricorda la sua
Ai miei tempi, sulle «tracce» o argomenti del tema di maturità ci si lambiccava per mesi, fino alla data fatale. Si scatenava la cabala degli anniversari. Senza Internet, le ricerche erano più casuali e tortuose. Cent’anni dalla morte del grande musicista. Cinquanta da quella del maggiore poeta lirico. Centocinquanta valevano? Nel mio anno, ricordo che qualcuno puntò su una vera raffinatezza, una ricorrenza del Palladio. E ci azzeccò. E poi, naturalmente, dilagava tutta una mitologia che si imperniava sul ministero, sui Provveditorati. Istituzioni alquanto porose, si riteneva a quei tempi. C’era sempre chi, per vie dritte o traverse, sosteneva di avere accesso a informazioni riservate. Alla più riservata di tutte: l’argomento del tema scritto di italiano.
Questo bizzarro contagio scolastico creava lunghe catene di gente che conosceva altra gente che conosceva e così via. Tutti spifferavano il loro segreto a qualcuno. I genitori collaboravano attivamente a quella follia di predizioni. Puro Kafka all’italiana. Perché il numero di queste tracce che sarebbero sicuramente uscite era praticamente infinito. E dunque ci si divideva in partiti, o meglio in fedi, e c’erano quelli che ricopiavano su minuscoli cartigli tutte le fasi della poetica di Montale, altri puntavano sulla Costituzione o sulla rivoluzione industriale. C’era chi cambiava idea all’ultimo momento, fidandosi di un’ultima soffiata, arrivata nel cuore della notte prima dell’esame, e passava coraggiosamente da d’Annunzio a Cavour. Il bello è che poi, in effetti, tra queste mille tracce date per sicure c’era anche, di sicuro, quella giusta, che si faceva intravedere come la coda di una cometa scintillante nel cielo affollato delle chiacchiere inutili. Ma come afferrarla, quell’unica notizia giusta? Chi la riceveva, spesso era il primo a non prestarle fede, sedotto da altre possibilità.
In fondo, questo gioco di indovini ci regalava un’inattesa lezione sulla natura della realtà, ma per capirla bene è necessario invecchiare. Quello che conta per chi deve farlo, l’esame, è che alla fine arriva il giorno e il momento, la traccia vera è lì, il foglio bianco pure, e non resta che iniziare. C’è gente che poi, in pratica, non smette mai di scrivere, ne fa un mestiere e addirittura, in certi casi, una ragione di vita più profonda e drammatica di ogni mestiere. E c’è chi, dopo il tema di maturità, schiverà con cura ogni occasione di ripetere la prova.
Intendiamoci, non si tratta di «scrivere» in senso astratto, perché tutto il mondo scrive sui social network. Si tratta di elaborare un testo di senso compiuto che riguarda un determinato argomento. Per tutto il corso della scuola veniamo abituati, obbligati, incoraggiati a farlo. Ma una cosa è il tema in classe, un’altra l’esame di maturità. C’è un clima più ufficiale, un’aura di cerimonia che può produrre effetti deleteri. Perché purtroppo la maggiore difficoltà, nello scrivere, consiste nel fatto che pensiamo che la scrittura sia qualcosa di infinitamente più astratto e più artificiale del nostro modo di parlare. Questo è vero, ma solo fino a un certo punto. La scrittura per esempio evita le tante ripetizioni di parole che si verificano parlando, rende più regolare la sintassi, incoraggia l’uso del termine italiano al posto dell’equivalente in dialetto. Ma questa maggiore «pulizia» della scrittura, per chiamarla in qualche modo, può indurci a esagerare la sua distanza dal nostro modo di parlare. Ecco quando scrivere diventa difficile, mentre le ore passano inesorabili e il suono della campanella si avvicina... Ebbene, è proprio questo il consiglio che bisognerebbe dare ai ragazzi che affrontano la rognosa prova: non infilate una parola dietro l’altra, come fosse il gioco del domino, ma pensate alla frase intera. Pensatela come la direste a qualcuno, o al telefono. E poi non ve la fate sfuggire, scrivetela tutta di seguito. Perché è così che vi fate capire nella vita, e la scrittura non è un codice segreto, un gioco di pazienza dalle regole astruse, ma un’altra maniera di esprimersi, e dunque di parlare.
Dicono che per scrivere bene ci vuole una vita; tanto vale iniziare stamattina.