la Repubblica, 22 giugno 2016
Strappando Varese ai leghisti, in Lombardia il Pd ha fatto 12 su 12. E adesso punta alla Regione
In una mappa del voto senza più punti di riferimento geografici, in Lombardia i rapporti di forza si sono invertiti. E i colori sono cambiati. Nel 2011, quando Giuliano Pisapia «liberò» – per usare lo slogan di allora – Milano da un ventennio di centrodestra, erano 4 i capoluoghi di provincia rossi in un mare verde-azzurro: Milano, appunto, Sondrio, Lodi e Lecco. Oggi, dopo il ballottaggio che ha confermato la guida sotto la Madonnina con l’elezione di Beppe Sala e fatto cadere la Varese roccaforte leghista da 23 anni: 12 su 12. Tanto che il Pd, adesso, alza la posta puntando alla Regione. Nel 2018, quando ci sarà la scadenza naturale. «O magari anche prima», dicono.Perché la sfida politica è al governatore Roberto Maroni: «Si deve dimettere». La stessa richiesta che arriva da M5S. Anche se lui, a fare un passo indietro non ci pensa neanche. E, anzi, annuncia già la ricandidatura: «Sul piano istituzionale rimango l’unico rappresentante del centrodestra di un certo livello in Lombardia. La bandiera devo tenerla alta».Eccolo, il filotto. Con una ferita aperta: Lodi, dove i Dem governano dagli anni Novanta. Dopo l’inchiesta che lo ha travolto, il sindaco Simone Uggetti, erede di Lorenzo Guerini, si dimetterà entro la fine di luglio. Finora era questa – insieme a Mantova che però fu necessario riconquistare nel 2015 – la sola roccaforte. Per il resto il centrosinistra ha dovuto affrontare una lunga traversata nel deserto prima di toccare palla. La svolta nel 2014, l’anno delle Europee con il Pd al 45% a Milano: dopo Como e Monza passate di mano nel 2012 e Brescia ripresa nel 2013, si aggiunsero città chiave come Bergamo, Cremona e la Pavia allora governata dal “formattatore” di Forza Italia, Alessandro Cattaneo.Che cosa è successo alla culla del berlusconismo e della Lega, alla regione finora più ostile d’Italia diventata l’ultima trincea per i dem? Perché qui il Pd vince? Nel 2014, c’era l’onda renziana a far volare i sindaci. Questa volta, no. Almeno secondo l’Istituto Ixè che ha incrociato la vittoria di Sala con la parabola della fiducia per il premier-segretario: dal maggio 2015 a oggi è scesa dal 45 al 36%. Anche il neo sindaco di Varese, Davide Galimberti ha vinto le primarie contro il renziano prescelto. Non a caso, forse, Renzi è rimasto lontano in queste settimane. E allora? Anche in una terra ricca come la Lombardia, può esserci la stanchezza degli elettori dopo le lunghe amministrazioni di Fi e Lega. Ma qua, e lo dimostrano i grillini che a Milano non sfondano il tetto dell’11%, c’è il Carroccio a fare da argine alla valanga di protesta a 5 Stelle. Per Alessandro Alfieri, renziano della prima ora e segreterio regionale Pd, sono due i segreti: «Un forte investimento sui giovani e una grande apertura al civismo: non abbiamo mai pensato di essere autosufficienti». Nella scelta di candidati alla Sala e non solo: «In ogni elezione stringiamo alleanze con una rete di liste civiche che hanno caratteristiche diverse a seconda dei territori». E poi, all’interno della ditta: «Una gestione larga che permette la massima mobilitazione nei momenti di difficoltà. La guida è renziana, ma non guardiamo alle distinzioni tra correnti. Tutte le anime sono coinvolte». Il partito, per dire, a Milano ha scelto come capolista l’assessore uscente e sfidante di Sala alle primarie, Pierfrancesco Majorino, il meno renziano di tutti. Lui la formula per farcela la chiama la “terza via”: «Siamo stati molto uniti, senza dividerci in conflitti tra correnti che in queste settimane non ci sono state. Ma anche molto fedeli al nostro essere di centrosinistra e radicali sui contenuti come lotta alla povertà e rivoluzione ambientale».