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 2016  giugno 21 Martedì calendario

Brexit spaventa anche gli Usa. In gioco c’è un trilione di dollari in investimenti


Un trilione di dollari in investimenti che potrebbero andare in fumo, e migliaia di posti di lavoro a rischio. Oltre alle chiacchiere, l’orgoglio nazionale e le schermaglie politiche, questa è la sostanza che sta sul tavolo dell’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, vista dagli Stati Uniti.
La tradizione vuole che Washington e Londra abbiano una «special relation», una relazione speciale, basata sul rapporto di amore-odio tra l’ex impero e l’ex colonia. Alcuni, scherzando, dicono che Usa e Gran Bretagna sono due Paesi amici, separati da una lingua comune, ma la verità è che la Casa Bianca ha sempre contato su Downing Street per fare i propri interessi in Europa. Un alleato sicuro e fidato, un interlocutore con cui ci si trova sempre sulle stesse posizioni. E, di conseguenza, una pedina preziosa per avere sempre un piede nell’Unione Europea, pur vivendo dall’altra parte dell’Oceano Atlantico.
Tutto questo è vero, ma non basta a spiegare cosa perderebbero gli Stati Uniti in caso di «Brexit», e quindi perché il presidente Obama si è scomodato di persona per visitare il Paese e invitarlo a non abbandonare la Ue per quanto i risultati alla fine siano stati forse l’opposto di ciò che sperava. Oltre alla politica, infatti, in ballo ci sono interessi molto consistenti, che il «Washington Post» ha elencato facendo le somme nel dettaglio. L’anno scorso gli Stati Uniti hanno esportato in Gran Bretagna beni per 56 miliardi di dollari, e già sarebbe un tesoretto da conservare. Questa cifra, però, impallidisce davanti ai 588 miliardi di dollari che gli Usa hanno investito nel Regno Unito, a cui va aggiunto il mezzo trilione che i britannici hanno a loro volta spedito in America. In totale, dunque, oltre un trilione di dollari, che danno lavoro a circa un milione di persone in ciascun Paese.
Per quale motivo questi soldi e posti sarebbero rischio, in caso di Brexit? È semplice: le aziende americane hanno investito in Gran Bretagna per usarla come porta d’accesso al mercato europeo. Se Londra abbandonasse la Ue, però, queste operazioni non avrebbero più alcun senso. 
Facciamo l’esempio della Caterpillar, che aveva aperto la sua prima fabbrica nel Regno Unito 55 anni fa, e adesso ne ha 16 che impiegano 9.000 dipendenti. Questi stabilimenti producono macchinari che per oltre tre quarti vengono poi esportati nell’Unione: se Londra uscisse, tenerli nel suo territorio diventerebbe non solo inutile, ma dannoso. Bisognerebbe chiudere e riposizionare tutto, con costi enormi in termini economici e di personale. Lo stesso discorso vale per altri colossi come la Ford, che ha 14.000 dipendenti in Gran Bretagna, ma anche decine di imprese più piccole che senza lo sbocco sul mercato europeo fallirebbero. 
Inutile parlare poi dei colossi finanziari, da Goldman Sachs a Morgan Stanley, passando da Citigroup e J.P. Morgan, che hanno apertamente offerto fondi ai sostenitori della campagna per restare nella Ue, perché uscirne renderebbe la borsa londinese meno competitiva di tante altre piazze europee.
Il Fondo Monetario Internazionale ha calcolato che la Brexit, nello scenario peggiore, potrebbe costare un 5,6% di crescita in meno nei prossimi tre anni, e la stessa Fed ha frenato il rialzo dei tassi per paura degli effetti di questo cataclisma, che alcuni paragonano al fallimento della Lehman Brothers da cui nacque la crisi de 2008. Questi – dicono gli Usa – sono fatti, il resto solo parole.