Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  giugno 21 Martedì calendario

Guido Maria Brera e i diavoli della finanza, tra romanzo e realtà

Dai film Wall Street e The Wolf of Wall Street fino alla serie tv Billions in questi giorni in Italia. Sembra che il fascino della finanza, spregiudicata e quindi ancora più accattivante, non abbia smesso di attrarre, da decenni, gente comune e sceneggiatori. Da noi, un paio d’anni fa, il libro I Diavoli, pubblicato da Rizzoli, ha riportato l’attenzione su quel mondo, apparentemente distante ma in realtà vicino.
Sicuramente vicino lo è stato e lo è per l’autore del romanzo, il romano Guido Maria Brera, tra i più conosciuti trader d’Europa e fondatore di una importante società di gestione patrimoniale. Il libro è diventato uno spettacolo teatrale scritto insieme a Edoardo Nesi. Ma tra la pubblicazione del libro e l’idea di portarlo in scena, c’è anche un sito, idiavoli.com, con tanto di redazione pronta a scrollarsi di dosso l’effetto fiction del romanzo, leggendo la realtà di oggi attraverso gli occhi dei tre protagonisti delle pagine.
«Non c’è più Massimo De Ruggero, il personaggio nel quale mi riconoscevo, ma ci sono Derek Morgan, il grande inquisitore, Bruno Livraghi, il trader spregiudicato, colui che rappresenta il mercato, e Philip Vade, l’ex allievo del grande economista, Federico Caffè», ricorda Brera. Philip Vade ricorda un po’ Brera. Spetta infatti a lui ricordare, magari con un po’ di malinconia, che la finanza dovrebbe essere uno strumento a sostegno dell’economia. «Una cinghia di trasmissione in grado di poter realizzare dei sogni nei posti impossibili e più difficili», spiega l’autore. «E se la finanza è diventata più importante dell’economia, occorre studiare le trappole evolutive, le quali si formano quando l’ambiente cambia in modo repentino e l’economia non riesce a starle dietro», aggiunge Brera, al quale piacerebbe che la gente si chiedesse, alla fine dello spettacolo presto portato in scena con Nesi: «Ma davvero è andata così? Ed è stata soltanto colpa della vanità dell’uomo?». Con meno pessimismo e più malinconia, Brera – e probabilmente anche Nesi – sanno benissimo che il confine tra i numeri della finanza e la filosofia è molto labile.
Conclude il finanziere: «L’importante è saper destrutturare tutto, e sempre, senza separare da una parte il mondo dei buoni e dall’altra quello dei cattivi: così facendo perderebbe di valore l’aspetto progressista della finanza». Lasciando vincere i diavoli.