Corriere della Sera, 21 giugno 2016
Matteo Salvini ricomincia da Parma e intanto pensa a un centrodestra senza Alfano e senza Mastella
«Il modello Milano? Ha perso». Matteo Salvini ha appena abbandonato Cascina, il comune del pisano in cui la Lega ha eletto la sua prima sindaca, Susanna Ceccardi. E la sua lettura dei dati elettorali non è conciliante: il centrodestra che include tutti coloro che erano alleati negli anni dei governi Berlusconi, continua a non convincerlo.
Ha perso, ma per poco. Non può essere un’indicazione per il futuro?
«A Milano, soprattutto, abbiamo perso la metà degli elettori, quelli che sono stati a casa. Posso dire che io per il centrodestra di domani penso a una proposta di una chiarezza assoluta. Che riporti al voto quelli che sono stati a casa».
Che significa chiarezza? Il «niente Alfano» di sempre?
«Ma certo. Niente Alfano. E niente Mastella. Nel centrodestra che ho in mente io non ci sono né l’uno né l’altro».
Non è una posizione che condanna alla sconfitta?
«Ripeto: la sconfitta viene dalla scarsa chiarezza. Un centrodestra unito e chiaro sui contenuti è l’unica alternativa vera a Grillo e a Renzi. Un’alternativa vincente».
E come la si costruisce?
«Sabato noi saremo a Parma per fare una cosa un po’ strana. Diversa dal solito. Verranno professori, economisti, specialisti di tanti settori a dare qualche idea alla politica sulle prossime battaglie».
Che sono?
«Come superare la riforma Fornero. Come cambiare i trattati europei. Come riformare il fisco in maniera più equa e non predatoria. Come togliere di mezzo gli studi di settore...».
Da Forza Italia vi divide comunque l’Europa. Loro non sono per l’uscita dall’Unione. Come si risolve?
«Convincendo tutti della praticabilità della revisione dei trattati europei. In modo tale che questa non paia un salto nel buio. Tra l’altro, il nostro appuntamento cade due giorni dopo il referendum inglese sulla Brexit. E sabato a Parma ci sarà il professor Luciano Barra Caracciolo, un assoluto luminare, che ci spiegherà nel concreto, appunto, come superare i trattati. Penso che saprà essere convincente per tutti. E penso che anche per Forza Italia possa essere interessante».
Se il modello Milano ha perso qual è quello giusto?
«Di modelli ce ne possono essere tanti. Di certo, per amore di coalizione e lealtà alla squadra, in questi giorni io ho dovuto mordermi la lingua tante volte. Che il problema di Milano sia la presenza di Salvini e dei lepenisti è veramente da ridere. Nonostante le dichiarazioni di Albertini sulla nostra irrilevanza, noi ci abbiamo messo l’anima, e comunque abbiamo vinto in cinque municipi su nove».
Non c’è qualcosa che lei si rimprovera?
«Per me il segnale più deludente è che quasi un milanese su due abbia scelto di stare a casa. Vuol dire che non abbiamo saputo trasmettere il nostro messaggio».
Eppure, anche tra i leghisti milanesi c’è chi pensa che lei in campagna elettorale ci sia stato un po’ poco. È falso?
«Assolutamente. Certo, io mi sono massacrato da Savona a Grosseto, da Trieste a Novara. Milano, però, deve crescere. La Lega deve crescere, non può esserci Salvini dappertutto. Non c’è la balia, non c’è il papà, i ragazzi devono crescere e camminare con le loro gambe. Aggiungo che con il mio correre, a questo giro abbiamo raddoppiato il numero di sindaci della Lega».
Adesso non ci dirà che la Lega ha vinto le elezioni?
«Milano brucia, così come Varese. Nessun alibi: non abbiamo saputo essere abbastanza convincenti. Però, bisogna guardare in periferia. In Friuli abbiamo vinto con il centrodestra sano a Trieste e i tre ballottaggi sono stati tutti vittoriosi. Un chiaro sfratto per Debora Serracchiani. In Piemonte, il Pd non ha vinto un ballottaggio, e i due capoluoghi, Novara e Domodossola li abbiamo presi noi».
Però, anche nella Lega c’è chi comincia a dire apertamente che il movimento debba tornare sui suoi territori tradizionali. Debba tornare al Nord.
«Ma per favore... Non credo che saremmo arrivati al 45% a Bologna, o al 47% a Ravenna. In Toscana non avremmo eletto un sindaco. Qualcuno temo sia fermo al passato. Quel passato è caro anche a me, ma le battaglie vanno attualizzate. È molto semplice: se vogliamo eleggere qualche deputato, forse basta che ci accontentiamo di quello che già abbiamo. Ma se invece vogliamo cambiare questo Paese, bisogna allargare lo sguardo».