la Repubblica, 18 giugno 2016
Il salvataggio impossibile dello scienziato bloccato in Antartide. A noi non resta che incrociare le dita
Stazione antartica Amundsen tenete duro, soccorsi in arrivo. Forse. Incrociando le dita e facendo gli scongiuri. È quasi una Mission Impossible, la spedizione di salvataggio che deve raggiungere la base scientifica vicina al Polo Sud. Solo due volte in 60 anni si è tentata un’operazione così pericolosa. «Uno dei nostri ricercatori è malato – dice il portavoce della National Science Foundation, Peter West – è una cosa seria, non può essere curato lì. Se non ci fosse un pericolo di vita non ci proveremmo neppure, non nella stagione invernale». La regione dell’Antartico in questo periodo è a 60 gradi sottozero, immersa nella “notte perpetua”, e con possibilità di maltempo. Volare fin là è un’impresa ad altissimo rischio e gli italiani lo sanno: nel gennaio 2013 un aereo che doveva portare carburante a una squadra di scienziati italiani (nella zona antartica più vicina alla Nuova Zelanda) si schiantò uccidendo i tre membri della squadra di soccorso. Pochissimi al mondo sono gli aerei – e i piloti – in grado di affrontare una missione di questo tipo. Hanno dovuto rinunciare a rispondere all’Sos perfino i robusti C-130 Hercules della US Air Force: a quelle temperature possono avere dei guasti fatali. Così l’agenzia federale di ricerca scientifica americana che gestisce la Stazione Amundsen ha dovuto rivolgersi a una società specializzata con sede in Canada, la Kenn Borek Air di Calgary (la stessa che subì l’incidente del 2013). «Partire dal Canada significa – spiega West – che l’equipaggio deve volare per 16.700 km prima di raggiungere la destinazione. Di questa distanza, gran parte sarà sopra l’Antartico, un’area vasta quanto Stati Uniti e Messico insieme». Per dare un’idea della pericolosità: dal Canada la società Kenn Borek ha fatto decollare due aerei gemelli. Come recita il comunicato della Nsf: «Uno degli apparecchi tenterà di raggiungere la Stazione Amundsen; l’altro apparecchio si fermerà ad aspettare nella base militare britannica di Rothera sulla costa antartica, per partire in una missione di ricerca e salvataggio qualora l’altro apparecchio precipiti lungo l’ultimo tratto». Da Rothera alla Stazione Amundsen ci sono ancora 2mila km, i più pericolosi. La Kenn Borek, che ha una lunga esperienza in questo genere di voli “impossibili”, usa per sorvolare l’Antartico dei piccoli apparecchi a turboeliche, i Twin Otter. La loro autonomia essendo limitata, da quando sono decollati da Calgary fino alla destinazione finale, devono fare numerosi scali negli Stati Uniti, Costarica, Ecuador e Cile. La loro Mission Impossible sta appassionando il mondo, al punto che la società Kenn Borek è assediata di richieste d’informazioni e fornisce il link con questo sito per seguire in tempo reale l’itinerario dei due velivoli: https:// flightaware. com/ live/ flight/ CGKBO.
L’arrivo alla base inglese di Rothera è previsto per domenica, cinque giorni dopo la partenza dal Canada. Ma sulla tratta finale, quella che dovrà compiere uno dei due Twin Otter da Rothera alle vicinanze del Polo Sud, gravano ancora molte incertezze. «Le previsioni del tempo – spiega West – nella zona dell’Antartico sono problematiche, non certo attendibili come quelle che abbiamo negli Stati Uniti o in Canada». Si sta mobilitando un’alleanza internazionale di agenzie scientifiche, per procurare ai piloti della Kenn Borek dei notiziari meteo affidabili. I due Twin Otter, per quanto piccoli, sono dei campioni di resistenza in condizioni estreme: le loro turboeliche sono in grado di funzionare anche a temperature di 60 gradi sottozero. Hanno sci montati sulle “ruote da tundra” per l’atterraggio. Sono attrezzati per scaldare il carburante, che diventa una gelatina a quelle temperature. Fra le difficoltà che li attendono all’arrrivo, oltre al gelo estremo e al buio perenne, c’è il ghiaccio che circonda la Stazione Amundsen dove non esiste una vera pista di atterraggio. Ogni equipaggio del Twin Otter è formato di tre persone: un pilota, un meccanico, un medico. Non esistendo alcuna torre di controllo a molte migliaia di km dalla zona Antartica, gli unici strumenti disponibili sono il vecchio radar e il Gps, ma avvicinandosi al Polo Sud anche gli effetti magnetici possono disturbare gli strumenti di bordo. Il volo a vista è precluso dall’oscurità totale.
L’Amundsen-Scott South Pole Station si trova sull’altopiano di Antartica a 2.800 metri sopra il livello del mare. Sta per compiere i 60 anni: fu creata nel novembre 1956. Fa capo alla National Science Foundation con il compito di coordinare tutte le ricerche scientifiche americane al Polo Sud, un’area del pianeta coperta per il 98% dal ghiaccio. L’importanza scientifica di questa base è cresciuta con il tempo, alla luce del cambiamento climatico. Dalla base Amundsen i 48 ricercatori attualmente in loco effettuano rilevamenti atmosferici ma anche di altra natura: l’osservatorio Ice Cube Neutrino studia le particelle subatomiche; due radiotelescopi permettono di fare ricerche sulla storia dell’universo. Non è questa la prima volta che uno scienziato si ammala durante il soggiorno di lavoro alla base, e della loro squadra fa sempre parte un medico. Ma non tutte le malattie si possono curare in loco. E per ben due volte furono gli stessi medici ad ammalarsi. Nel 1999 la dottoressa della base si curò da sola un nodulo cancerogeno al seno: chemioterapia inclusa. Nel 2001 un altro medico si ammalò di una grave forma di pancreatite durante la stagione invernale.