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 2016  giugno 18 Sabato calendario

Il califfo perde sempre più terreno

In difficoltà sul piano militare, gli uomini di Daesh possono colpire con tattiche non convenzionali
Lo Stato islamico diventerà il Califfato dei deserti? Ormai le truppe del Daesh sono in difficoltà su tutti i fronti. In Iraq è stato riconquistato il centro di Falluja e l’esercito di Bagdad stringe lentamente l’assedio a Mosul. In Siria le colonne di Damasco e i raid russi aprono la strada verso Raqqa mentre l’alleanza tra curdi e partigiani filo- americani sta eliminando le basi sulla frontiera turca, crocevia di traffici e rifornimenti. In Libia il caposaldo di Sirte cede sotto i colpi delle milizie di Tripoli e dell’armata di Tobruk.
Il Califfato vede crollare le risorse economiche, perché il contrabbando di petrolio è stato bloccato. E stenta a far funzionare la macchina militare: secondo i dati della Cia, i soldati con la bandiera nera in Mesopotamia nel 2016 sono diminuiti da 33 mila a meno di 22 mila. Dall’Europa non arrivano più volontari e le nuove reclute asiatiche non bastano per rimpiazzare le perdite.
I risultati in Siria sono legati soprattutto all’impegno di Mosca, che ha ristrutturato le brigate di Damasco e smantella dal cielo ogni postazione nemica, senza preoccuparsi delle vittime civili. Ma pure gli Stati Uniti sono riusciti a costruire reparti efficaci, spingendo curdi e sunniti a collaborare. Gli stormi statunitensi hanno moltiplicato la pressione, attaccando dal Mediterraneo e dal Golfo persico. Forze speciali occidentali vengono segnalate ovunque, dalla Cirenaica all’Eufrate, mentre i curdi iracheni hanno eretto una potente linea difensiva che protegge i loro territori.
Gli analisti però non si fanno illusioni: la vittoria definitiva è ancora lontana. I soldati dell’Is non fuggono, si ritirano. La battaglia di Kobane gli ha insegnato che i centri urbani possono diventare una trappola, esponendo i loro uomini ai bombardamenti. Così adesso fanno tesoro della lezione del Corano: il loro modello è l’Egira, quando i seguaci di Maometto uscirono dalla Mecca alla spicciolata, rifugiandosi nel deserto per poi tornare trionfanti.
Non cercano la resistenza ad oltranza nelle città: lasciano pochi cecchini nascosti nei tunnel. A Ramadi i “liberatori” hanno dovuto radere al suolo interi quartieri per neutralizzarli.
Anche se cadesse Mosul, la capitale irachena di Al-Baghdadi, i miliziani continueranno a combattere. Pochissimi finora si sono arresi. Da gennaio hanno condotto 489 assalti suicidi: nei giorni scorsi si sono spinti persino verso Palmira, abbandonata tre mesi fa. E cercano di accendere nuovi fuochi ovunque, dall’Africa all’Asia, mobilitando kamikaze che seminino terrore in nome del Califfato. Come ha riconosciuto il capo della Cia John Brennan: «Nonostante i successi sul campo, i nostri sforzi non hanno ridotto la capacità terroristica e la portata globale del gruppo». La forza del Daesh rimane sempre la stessa: le divisioni tra i suoi avversari. Ieri i caccia russi hanno bersagliato gli insorti filo-americani; i turchi contrastano i curdi; gli sciiti iracheni litigano tra loro; in Libia non c’è un accordo tra gli schieramenti. Ed è su queste fratture che lo Stato islamico conta per sopravvivere.